martedì 4 giugno 2013
E' uscito in questi giorni un libro molto particolare ed interessante, intitolato “Atlas of Remote Islands” (ovvero l'Atlante delle isole remote), scritto da Judith Schalansky (giovane scrittrice tedesca del 1980, autrice anche del romanzo “Lo splendore delle meduse”), edito da Penguin, 143 pagg. al costo di € 17. Ne ha scritto un articolo Benedetta Marietti sul quotidiano la Repubblica del 2 giugno 2013, nella sua rubrica “Il libro oggetto”: in effetti si tratta di un libro davvero curioso, perché le isole remote hanno sempre affascinato un po' tutti noi. Così come l'autrice del libro, la cui fascinazione per tali isole risale all'infanzia trascorsa nella Germania dell'Est prima della caduta del Muro di Berlino, quando l'unico modo per viaggiare e girare il mondo era quello di usare la fantasia sfogliando le mappe di un atlante. Credo che molti di voi lo abbiano fatto: lo feci pure io, soprattutto nel periodo delle scuole medie, quando sui libri di geografia annotavo (ed anzi aggiungevo) descrizioni delle isole minori, quelle che i libri di testo non trattano mai. Quante ne ho tirate fuori!!! Ebbene la scrittrice le ha raccolte in un libro: si tratta di isole remote, dimenticate, inospitali, irraggiungibili, ma quanto fascino che hanno, sparse in ogni angolo del pianeta, mare o oceano che siano: dalla più piccola citata che è quella di Tromelin (vicina al Madagascar, con solo 4 residenti in 0,8 kmq di superficie, http://it.wikipedia.org/wiki/Tromelin) alla più grande che è quella di Rudolf Island (nell'Artico, 297 kmq di ghiaccio e neve, http://it.wikipedia.org/wiki/Isola_del_Principe_Rodolfo).
Ma nel libro ce ne sono molte: Tristan da Cunha (in pieno Oceano Atlantico, abitata nel XIX secolo da sette famiglie che vivevano in una società utopica micro-comunista, http://it.wikipedia.org/wiki/Tristan_da_Cunha), Floreana (nell'arcipelago delle Galapagos, diventato luogo di ritiro di un dentista di Berlino che, stanco della società in cui viveva e della crisi economica, negli anni '30 insieme alla moglie diede vita nell'isola ad una comunità di nudisti, http://en.wikipedia.org/wiki/Floreana_Island), Peter I (in Antartide, quasi interamente coperta di ghiaccio, sulla quale vi si mise piede per la prima volta nel 1929 dopo ben 108 anni dalla sua scoperta, http://it.wikipedia.org/wiki/Isola_Pietro_I), Pingelap (atollo della Micronesia in Oceano Pacifico, i cui abitanti vedono solo in bianco e nero per una incredibile mutazione del cromosoma di un loro antenato, http://it.wikipedia.org/wiki/Pingelap), Diego Garcia (atollo dell'Oceano Indiano, i cui abitanti sono stati deportati per rendere possibile la costruzione di un'inaccessibile base statunitense, http://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Garcia), Fangataufa (nella Polinesia, tristemente nota per gli esperimenti atomici, http://it.wikipedia.org/wiki/Fangataufa), Easter Island (ovvero la celeberrima Isola di Pasqua, con i suoi disastri ecologici, http://en.wikipedia.org/wiki/Easter_Island), St. Kilda (isola scozzese dove ci sono misteriose morti di bambini, http://it.wikipedia.org/wiki/Saint_Kilda), Tikopia (nelle Isole Salomone, dove è diffusa la pratica di infanticidio, https://it.wikipedia.org/wiki/Tikopia), e molte altre.
Per ognuna di queste isole la scrittrice ha disegnato la mappa in un elegante stile retrò, elencato dati statistici e raccontato la storia in brevi prose poetiche che diventano una sorta di ritratto geografico, proprio perché (come dice lei) «le mappe sono allo stesso tempo astratte e concrete; nonostante contengano dati misurabili e oggettivi, non rappresentano la realtà bensì una sua interpretazione».
Sono pienamente d'accordo con lei quando dice che «È arrivato il momento che la cartografia occupi un posto tra le arti e che un atlante venga considerato un' opera letteraria, dal momento che è più che degno del suo nome originale: theatrum orbis terrarum, il teatro del mondo». Sarebbe ora. e permettetemi un appello: non fate scomparire la geografia dalle scuole.
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