domenica 13 dicembre 2009

BENEVOLO: “NOI URBANISTI ABBIAMO FALLITO”

Lo dice Leonardo Benevolo, nato nel 1923 e considerato uno dei padri dell’urbanistica, non solo in Italia, che vive da molti anni vicino a Brescia dove tra gli anni ’60 e ’70 ha collaborato ad uno degli esperimenti più riusciti dell’urbanistica italiana (ovvero la pianificazione della città di Brescia): lo dice in un’intervista fatta dal giornalista Francesco Erbani sul quotidiano la Repubblica del 10 dicembre scorso. Erbani dà nel suo articolo una bella definizione di urbanistica: l’urbanistica è quella disciplina (che si insegna all’università) nella quale convergono saperi scientifici ed umanistici, e che dopo un’indagine sulla realtà fisica e sociale di un territorio, pianifica trasformazioni e conservazioni, misurando gli effetti in tempi lunghi e in spazi vasti, e mediando fra gli interessi generali e quelli dei privati, in particolare dei proprietari dei suoli.
Dice Benevolo: “Oggi in Italia l’urbanistica è un’attività screditata, considerata con fastidio e preferibilmente accantonata. Nei programmi elettorali e nel comportamento delle istituzioni centrali questo capitolo è scomparso da tempo. Nelle amministrazioni periferiche (Regioni, Comuni e Province) ha un posto secondario con uffici ridotti al minimo e disponibilità economiche precarie; nella vita privata dei cittadini italiani compare quasi solo come un ostacolo sgradito, da eludere o eliminare. Dovunque se ne parla malvolentieri, e il meno possibile”. Parole pesanti ma assolutamente realistiche. Basta guardare i dati ISTAT: fra il 1995 ed il 2006 sono state realizzate in Italia circa 10 milioni di stanze che, sommate ai nuovi capannoni, ad altre iniziative produttive ed alle infrastrutture, equivale a ben 750.000 ettari di terreno cementificati (quanto l’Umbria!!!). Questo sarebbe stato congruo in un paese in via di sviluppo economico e con un aumento demografico forte: invece, in Italia il boom produttivo è avvenuto decenni prima e la popolazione in quel periodo analizzato dall’ISTAT è aumentata di soli 1.900.000 abitanti (che tra l’altro sono quasi tutti immigrati che quasi mai hanno la possibilità economica di garantirsi queste nuove case costruite…). Dunque l’incredibile quantità di edifici costruiti non corrisponde alla domanda: allora perché si costruisce? E soprattutto perché non si costruiscono in Italia alloggi di edilizia popolare? La risposta è sempre quella: denaro, denaro, denaro. L’aspetto economico purtroppo ormai prevale su tutto e, nel caso dell’urbanistica, prevale sul buon senso, sulla protezione del territorio, sulla lotta all’inquinamento, sul recupero degli edifici dimessi e abbandonati. Facciamo solo l’esempio dei Comuni: le casse comunali in genere sono disastrate per la sempre più piccola quantità di denaro che arriva dallo Stato, accentuata ancor di più dalla recente e scellerata abolizione dell’ICI (che era sempre stata una delle più importanti fonti di introito per i Comuni, non adeguatamente sostituita da corrispondenti fondi statali). Che fanno allora i Comuni: al di là di ogni limite e ragionevolezza urbanistica, approvano in continuo nuove lottizzazioni residenziali e produttive (ma soprattutto le prime), che sottraggono terreno all’agricoltura e si trasformano in migliaia di palazzoni e/o edifici singoli. Questo comporta lo spostamento di molte persone da altre parti della città verso le nuove aree periferiche: ecco perché ormai i centri storici delle città sono dei quartieri fantasma, disabitati e decadenti. Naturalmente, dalle nuove lottizzazioni i Comuni incassano centinaia di migliaia di euro di oneri di urbanizzazione e di costi di costruzione, che vanno ad impinguare parzialmente le casse comunali. Praticamente, è come un cane che si morde la coda: alla fine chi ne fa le spese è sempre il nostro caro territorio (con tutte le conseguenze del caso…), e tutto ciò perché lo Stato non riesce a garantire fondi a sufficienza ai Comuni, e questo perché continuiamo a portarci sulle spalle un debito pubblico stratosferico ereditato da anni scellerati di sperperi anti-tangentopoli dal quale difficilmente riusciremo ad uscirne. Sperperi per i quali stanno pagando solo i semplici cittadini, e non chi li ha commessi… Il degrado attuale dell’urbanistica è frutto di questo: infatti, tempo fa non era così, l’urbanistica nel dopoguerra e per alcuni decenni successivi è stata uno degli argomenti più popolari nel dibattito politico e culturale italiano.
Come dice Benevolo, l’urbanistica arretra proprio nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di essa. Si costruisce per il mercato e non per le città, un tempo l’urbanistica doveva dare un senso alla città garantendo il giusto equilibrio tra urbanizzazione e protezione del territorio, ora questo non succede più: come dice Paolo Berdini (che insegna alla Facoltà di Ingegneria di Tor Vergata, a Roma), il fiume di denaro virtuale creato dall’economia finanziaria doveva trovare luoghi in cui materializzarsi e li ha trovati nelle città e nel territorio. Gravissimo. E doveva essere proprio l’urbanistica a garantire che questo non accadesse. Ed ora è arrivato anche il Piano Casa…
Concludo con l’intervento di Paola Bonora, che non è una urbanistica ma è una geografa dell’Università di Bologna (autrice con Pier Luigi Cervellati del libro “Per una nuova urbanità”, edito da Diabasis, 213 pagine al costo di € 21), la quale afferma: “In molti urbanisti prevale un senso di disincanto malizioso e compiaciuto. L’espansione edilizia viene descritta con rassegnazione e disinteresse: ma raramente le mille etichette per raccontare ciò che accade si accompagnano a una seria denuncia degli effetti devastanti del consumo di suolo e a una coerente proposta politica”. E il problema sta anche a monte, negli insegnamenti universitari: nelle facoltà di Architettura c’è un ritorno alla tecnica e poca attenzione ai contesti territoriali ove vengono realizzati gli interventi edilizi. Forese, per cambiare qualcosa, si potrebbe partire anche da qui…

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