giovedì 17 gennaio 2013

Nuovi lavori: il BIOETICISTA

Ho trovato un interessante articolo in materia sulla rivista mensile “Fondamentale” dell'AIRC (Associazione Nazionale Ricerca sul Cancro, http://www.airc.it), articolo scritto da Daniela Ovadia e pubblicato sul numero di gennaio 2013. IL BIOETICISTA E' UN PROFESSIONISTA DELLA MEDIAZIONE CULTURALE: IL SUO COMPITO E' QUELLO DI RENDERE ACCETTABILI E SICURE, A LIVELLO SOCIALE, LE INNOVAZIONI INTRODOTTE DALLA SCIENZA, TENENDO CONTO DELLE DIVERSE SENSIBILITA' IN GIOCO. Visto il continuo evolvere della scienza su più fronti, in ogni suo campo nascono dibattiti sulla scoperta effettuata, con possibili controversie che richiedono da parte degli interessati una certa mediazione tra culture e sensibilità differenti tra loro (l'esempio più lampante è quello tra cultura laica e cultura cattolica che spesso influisce sull'applicazione di certe scoperte scientifiche...). E' per questo che serve il bioeticista (http://www.airc.it/bioeticista). Dice Giovanni Boniolo, bioeticista dell'Università di Milano e fondatore del primo corso di dottorato interdisciplinare in scienze della vita e bioetica (FOLSATEC) ospitato dall'Istituto FIRC di oncologia molecolare: “Tradizionalmente, in Italia, i bioeticisti sono filosofi, cioè persone con una formazione prettamente umanistica e quasi nessuna conoscenza della scienza applicata, cioè di ciò che si fa davvero nei laboratori". In Italia manca infatti una figura professionale riconosciuta per fare questa cosa, contrariamente a quanto invece avviene in altri Paesi europei (più avanzati di noi...). Qualcosa era stato fatto dal Parlamento italiano nel 2003, con un progetto di legge presentato al Senato (per la cronaca, la bozza non è mai diventata legge...)! L'articolo 1 di questo progetto di legge prevedeva che questa nuova figura professionale doveva possedere una laurea magistrale o specialistica e un master o un dottorato specifico stabilendo che il bioeticista avrebbe svolto la sua attività di ricerca e consulenza bioetica nei settori alimentare, ambientale, animale, biopedagogico, demografico, giuridico, medico-sociosanitario e penitenziario. C'era (e c'è) quindi la necessità di individuare una figura che riesca a facilitare e controllare l'applicazione corretta delle scoperte scientifiche non solo nei laboratori ma anche nelle industrie (soprattutto del settore del farmaceutico e del biotech), che hanno bisogno di attivare progetti della cosiddetta “corporate social responsibility” (una espressione inglese che indica tutte le attività che non necessariamente sono legate al profitto). Nel campo scientifico e sanitario, i bioeticisti sono necessari per gestire i comitati di bioetica che tutte le istituzioni mediche sono obbligate a mettere in piedi, per poter provare le sperimentazioni proposte dai propri ricercatori. Il problema è che in Italia troppo spesso si fa bioetica teorica senza calarla sulla realtà, quindi sulle decisioni pratiche: e qui restiamo indietro rispetto all'Europa. 
Ma come si diventa bioeticista? Ci si diventa con un percorso post laurea, in quanto non esistono oggi nel nostro paese corsi di laurea specifici. Molte università hanno comunque attivato corsi di perfezionamento e master in bioetica, alcuni dei quali già tematici (come bioetica applicata ai protocolli di ricerca e ai comitati etici, bioetica e legge o bioetica della finanza e dell'economia); in molte università sono disponibili anche dottorati di ricerca promossi dalle Facoltà di medicina, filosofia o giurisprudenza. C'è infine un dottorato di ricerca in bioetica della Scuola europea di medicina molecolare (SEMM, http://www.semm.it) in collaborazione con l'Università degli studi di Milano, ospitata dall'istituto FIRC di oncologia molecolare: dura 4 anni, è in lingua inglese e la metà del tempo è dedicata alla ricerca pratica in laboratorio (la restante metà allo studio di materie teorico-filosofiche). 
Largo quindi alle nuove attività: tra queste appunto i bioeticisti, dei quali l'Italia ha un immenso bisogno, sia per poter far avanzare la ricerca, ma anche per colmare il grande gup che il nostro paese ha rispetto a molti paesi europei in fatto scientifico e di studio (nonché culturale...).

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