domenica 29 settembre 2013
“In queste settimane che la Scuola riapre le sue porte auguro che ogni insegnante ritrovi il senso del suo lavoro – bistrattato e umiliato economicamente e socialmente – come uno tra quelli più decisivi nella formazione dell’individuo. Auguro loro di saper ritrovare passione nello spiegare una poesia di Ungaretti, le leggi della termodinamica, la deriva dei continenti, una lingua nuova, la bellezza formale di una operazione di matematica o di un teorema di geometria. Auguro che la loro parola riesca a tenere vivi gli oggetti del sapere generando quel trasporto amoroso ed erotico verso la cultura che costituisce il vero antidoto per non smarrirsi nella vita”. Così inizia un bel articolo di Massimo Recalcati sui problemi dell'insegnare pubblicato sul quotidiano la Repubblica di venerdì 20 settembre 2013 (l'intero articolo al link http://www.manuelaghizzoni.it/2013/09/20/il-maestro-riluttante-di-massimo-recalcati/). Sabato 28 settembre 2013 gli risponde sullo stesso quotidiano Pier Aldo Rovatti, docente e filosofo italiano che insegna Filosofia contemporanea all’Università di Trieste (http://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Aldo_Rovatti), secondo il quale "il compito più difficile è condividere l'amore per il sapere". Secondo lui (e a ragione, ndr) "Oggi, in questa nostra scuola, in questa determinata società, insegnare è un'impresa fallimentare per una spaventevole quantità di motivi, materiali e culturali, che tutti assieme costituiscono i ben noti guai della scuola italiana".
Nonostante ciò, ci sono ancora molti giovani che aspirano all'insegnamento nella scuola, e quindi si chiede Rovatti: "Che cosa sorregge questo loro desiderio di insegnare? Sono una massa di masochisti? Al contrario, sembra che essi apprezzino proprio il lato nobile dell'insegnamento e la sfida che gli appartiene... A guardar bene, ci si accorge che ciò che attira è precisamente quella impossibilità del compito di insegnare che si lega con evidenza tanto al sapere quanto alla relazione con gli altri". E infatti qui sta il succo del discorso del pensiero di Rovatti per l'insegnamento: nell'insegnare non possono mai essere separati il "sapere" e la "relazione", non si può insegnare il sapere senza creare il giusto rapporto tra insegnante ed alunni. Dice Rovatti: "Quanto al sapere, certo la scuola deve essere un apprendistato, un'educazione che insegni ad apprezzarlo in quanto tale... Quanto alla relazione, è difficile negare che la scuola sia innanzi tutto una palestra di comunità e di socializzazione e che, nel caso contrario... essa rischia di mancare clamorosamente al proprio mandato".
Ha perfettamente ragione Rovatti, e concludo con quanto lui stesso scrive a conclusione del suo articolo, quando dice che l'amore per il sapere deve passare necessariamente per la relazione, ovvero l'accomunamento e la socializzazione, e se questo accade si trasforma la soggettività, perché allo stesso tempo si trasformano sia gli alunni che l'insegnante. Credo sia uno dei segreti per dare il giusto slancio alla nostra cara scuola.
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