mercoledì 11 luglio 2007
Due anni fa ancora non esisteva ma ora eccolo qua: il mercato della CO2!!! Un mercato che lo scorso anno ha mosso 1.600 milioni di tonnellate di materia prima (il doppio dell'anno precedente) con un giro d'affari di 30 miliardi di dollari... E' l'unico mercato al mondo in cui si scambia qualcosa che non c'è, ovvero la "non CO2": in pratica i paesi europei che hanno emesso meno anidride carbonica del tetto a loro imposto dall'UE possono vendere questa quota risparmiata ai paesi europei che invece hanno sforato il loro tetto! Pertanto questi ultimi paesi possono acquistarsi il diritto ad emettere CO2!!! Davvero incredibile, anche se qualche risvolto positivo ci potrebbe essere... Attualmente il diritto ad emettere una tonnellata di CO2 nel dicembre 2008 costa 22 euro, anche se è previsto un rialzo fino a 30 euro entro il 2009. C'è da dire che a 30 euro le energie rinnovabili sarebbero, con le attuali tecnologie, convenienti e competitive, ma non agli attuali 20 euro. Proprio per questo molti sollevano critiche circa l'ottenere una diminuzione delle emissioni di CO2 tramite un "mercato". Molti propongono (tra cui parecchie aziende!) una semplice "carbon tax": infatti con questa tassa si sà il prezzo della CO2 ma non la quantità di emissioni che ci saranno (e tra l'altro i ricavi della tassa potrebbero essere investiti in ricerca scientifica e tecnologica...). Con il tetto imposto dalla UE, invece, oltre il quale ti devi acquistare il diritto ad emettere, si sà quante emissioni di Co2 ci saranno ma non il loro costo. L'ultimo sistema è più pericoloso per i costi delle aziende e non può essere regolato. Tuttavia, finora il sistema più praticabile è stato quello del tetto alle emissioni: tale mercato resta un fenomeno solo europeo (infatti l'80% del giro d'affari riguarda l'UE, l'unica area al mondo ove il sistema è obbligatorio...) e quindi più dimostrativo che funzionale (in questi due anni le emissioni sono infatti diminuite solo del 2% rispetto all'8% previsto). Ma ora sembra qualcosa si muova anche negli USA e nei paesi in forte sviluppo (Cina e India in primis): vedremo... In definitiva, diciamo che l'attribuzione di un costo alla CO2 è stata fatta per spingere le aziende a migliorare la propria efficienza ambientale, sostituendo processi e macchinari che producono più CO2. Il mercato dell'anidride carbonica è nato nel 2005: 12.000 imprese dell'energia, della carta, dell'acciaio e del cemento erano state vincolote a certe quote di emissione di CO2 (quote cedute gratuitamente): oltre tali quote, i diritti ad emettere vanno acquistati. Tuttavia, da un controllo reale effettuato nel maggio 2006, si è scoperto qualcosa che non andava: infatti, in sede di contrattazione dell'entità delle quote gratuite, alcuni paesi (come la Germania, ma non l'Italia) avevano ricevuto permessi gratuiti ben superiori alle emissioni reali, per cui le aziende avevano avuto gratis diritti ad emettere da rivendere con profitto!!! Di conseguenza il prezzo dei contratti è sceso quasi a zero dicendo addio agli incentivi per rendere efficienti gli impianti! Praticamente il mercato della CO2 è un disastro: ma non la pensano così gli analisti della Deutsche Bank e dell'Economist, secondo i quali il mercato è stato un successo (!) in quanto secondo loro il mercato (nonostante le difficoltà iniziali) ora comincia a funzionare. Secondo loro, i 1.600 milioni di tonnellate di CO2 scambiati nel 2006 fra i vari paesi corrispondono ad 1/3 del totale di CO2 effettivamente emessa nel 2005 e le prospettive sono rosee in funzione della prossima "fase 2": partirà a fine 2008 e azzererà tutti i vecchi permessi sostituendoli con altri molto più restrittivi (ecco perchè un contratto a dicembre 2007 vale qualche centesimo e a dicembre 2008 vale 22 euro...). Secondo un'analisi effettuata dall'Ifsl di Londra circa 2/3 ella CO2 trattata proviene da risparmi effettuati da quelle 12.000 aziende interessate dal tetto i emissioni mentre il restante 1/3 deriva dai Cdm, ovvero dei certificati di buona condotta che vengono rilasciati alle imprese che riducono l'anidride carbonica prodotta da altre aziende: così, ad esempio, la Shell convoglia la sua anidride carbonica nelle serre agricole (le quali dovrebbero altrimenti produrla in proprio) oppure l'americana Bunge ha inventato un sistema per ricavare metano dagli escrementi degli allevamenti di maiali il quale, anzichè essere disperso in atmosfera, viene utilizzato per produrre energia. Quindi, siccome l'effetto serra è globale, non fa differenza se la riduzione di CO2 avviene nella centrale di casa o in Cina o in India, l'importante è che avvenga: bisogna quindi migliorare l'efficienza dei vecchi impianti di Cina, India e dei paesi in via di sviluppo, se non lo fanno loro li dobbiamo aiutare noi. Solo così si può sostenere una vera e propria battaglia contro l'effetto serra: un primo passo è già stato quello di far capire alle aziende europee che la CO2 è per loro un costo e che è quindi necessario migliorarsi tecnologicamente per produrre meno gsc serra, e in questo il mercato della CO2 può essere d'aiuto (ma solo per questo...). Come sappiamo, l'Italia negli ultimi anni ha sforato il tetto delle sue emissioni di CO2: lo sforamento è stato di 10 milioni di tonnellate nel 2005 e di ben 22 milioni di tonnellate nel solo 2006 (totale 227 milioni di tonnellate emesse contro le 195,8 milioni di tonnellate concesse gratuitamente dall'UE!). Finora le aziende italiane hanno sostenuto costi bassi per acquistare i diritti ad emettere, ma già dal dicembre 2008 questi diritti costeranno 22 euro ogni tonnellata emessa: per tale motivo l'Italia dovrà sostenere una spesa vicina al mezzo miliardo di euro!!! Ricordiamo che metà del buco 2006 è da attribuire alla nostra cara Enel (a livello globale, la produzione di energia elettrica è responsabile di 1/4 di tutta la CO2!): fra il 2005 e il 2006 l'Enel ha registrato comunque un leggero miglioramento, mentre continuano a deludere le altre compagnie energetiche (Edison, Endesa, Edipower, Enipower e Tirreno Power) nonchè i gruppi di produzione del cemento (eccetto Unicem); stabili o in leggero miglioramento le acciaierie e i gruppi petroliferi (un pò meno la Saras dei Moratti...). Purtroppo è ancora troppo poco per l'Italia: c'è il rischio di sforamenti sempre più consistenti delle quote e il conseguente aumento del prezzo dei diritti ad emettere. Ma c'è un altro problema prima di questo, che l'Italia non ha ancora affrontato, ovvero la spartizione di quelle 195,8 milioni di tonnellate di CO2 tra le varie aziende italiane: come sembrerebbe plausibile, i tagli maggiori li dovranno sostenere le centrali a carbone (ovvero la maggior parte delle centrali Enel...) e gli impianti di lavorazione del petrolio e derivati, ma ci sono già in atto scontri durissimi. Già sono sconcertato che si continui a parlare tanto di quote di emissione di CO2 piuttosto che di energie rinnovabili, ma ho anche paura a pensare come finirà questa spartizione di CO2 fra le aziende italiane.... Questo post trae spunto da alcuni interessanti articoli apparsi in questi ultimi giorni sul quotidiano "La Repubblica", sempre attento a questi temi.
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