lunedì 28 gennaio 2008

DIFESA DELL'AMAZZONIA: eppure si parla ancora di autostrade...

Nel precedente post ho riportato il record di deforestazione che si è verificato in Amazzonia nel corso del 2007, soprattutto tra agosto e dicembre (distrutti ben 7.000 kmq di foresta). Qualcosa bisogna assolutamente fare, soprattutto per preservare la biodiversità e per poter continuare la lotta al cambiamento climatico. Ora il governo brasiliano, per correre ai ripari, vuole coinvolgere le tribù indigene nella difesa dell’Amazzonia adottando delle forme di sfruttamento “intelligenti” che richiamano tecniche del passato. Già negli anni ’70 molti ambientalisti tremarono quando i generali golpisti lanciarono un progetto faraonico per la costruzione di autostrade che tagliavano l’Amazzonia da nord a sud e da est ad ovest, e intanto da allora il 10% della foresta è stato bruciato… Ora le cose non vanno meglio visto che il governo socialista di Lula vuole nuovamente pianificare la costruzione di queste autostrade: a questa notizia, un gruppo di scienziati del “Conservation International”, guidati da Tom Killen, ha azzardato una previsione inquietante secondo la quale l’impatto delle nuove strade tra 40 anni comporterebbe la distruzione di buona parte della foresta pluviale. A sentire il governo brasiliano, il piano di realizzazione delle nuove autostrade, finanziato dalla governativa IIRSA (Integrazione Infrastrutture Regionali Sud America), è certamente diverso dal piano di distruzione del secolo scorso e prevede, accanto alle autostrade, delle vaste aree protette, progetti di agricoltura biologica e produzioni eco-sostenibili, il tutto basato sulle tecniche da sempre utilizzate dalle tribù indigene le quali sono considerate i “migliori” sfruttatori dell’Amazzonia (tesi sostenuta anche dal biologo e geologo ambientalista Joao Merirelles Filho). Personalmente continuo a nutrire numerosi dubbi sul fatto di attuare questi progetti all’interno del più grande polmone verde del nostro pianeta, per le seguenti motivazioni.

  1. AGRICOLTURA: è vero che nel Cinquecento l’Amazzonia aveva più abitanti di adesso (oltre un milione di persone, era la zona più popolata delle Americhe), i quali sfruttavano i terreni più fertili periodicamente sommersi (le cosiddette “terre nere”) ove praticavano l’agricoltura irrigua e non quella estensiva, però è anche vero che il terreno dell’Amazzonia è il più povero del mondo. Infatti, il suo bacino è antichissimo (risale a 650 milioni di anni fa), le sue rocce sono state dilavate dalle piogge nel corso dei millenni e sono quindi poverissime di minerali (soprattutto fosforo e potassio indispensabili in agricoltura), tanto che solo il 10.7% dei terreni è adatto all’agricoltura mentre la foresta si alimenta da sola (le radici degli alberi sono infatti superficiali e sfruttano il sottile strato di humus che si forma con la caduta delle foglie e dei tronchi). Tra l’altro i terreni, una volta disboscati, restano fertili sono tra i 3 e i 5 anni: servirebbe?
  2. PIOGGIA: in Amazzonia le piogge sono per metà autoprodotte dall’umidità creata dalla vegetazione mentre l’altra metà arriva dall’Atlantico (ciclo svelato da uno studio del geologo Eneas Salati). Se la foresta scomparisse, le piogge si dimezzerebbero (stime ottimiste..) mentre la temperatura media aumenterebbe sensibilmente si circa 10°C, con forti ripercussioni sul clima terrestre. Servirebbe?
  3. ALLEVAMENTO: secondo l’Imazon (Istituto do Homem e Meio Ambiente da Amazonas) il tasso di rendimento degli allevamenti nei terreni disboscati è in media solo del 3.6% l’anno. E 2/3 dei terreni disboscati sono adibiti a pascolo… Ciò comporta solamente una forte perdita di foresta con ripercussioni sulle piogge e sul clima locale e globale. Servirebbe?

Leggo purtroppo da qualche parte che il progetto autostradale avrebbe effetti positivi su tutta l’Amazzonia (effetti di tipo economico s’intende): il legname anziché essere bruciato potrebbe essere commerciato, la capitale Manaus potrebbe tornare ai fasti di un tempo quando aveva il monopolio della gomma naturale che serviva a produrre i pneumatici, le tribù indigene che non hanno ancora avuto contatti con i bianchi potrebbero svilupparsi facendo ottimi affari ad esempio con le multinazionali dei cosmetici e dell’olio di noce, il Rio delle Amazzoni ed il Rio Negro potrebbero essere navigabili da grande navi come la maestosa “Queen Elisabeth” (visto che alla confluenza i due fiumi sono larghi 12 km e profondi 100 metri), addirittura si potrebbe sviluppare un mercato dei pesci visto che nel Rio Negro ci sono 474 specie di pesci ornamentali! Personalmente inorridisco di fronte a queste idee: se è vero che l’impiego razionale di questi sistemi porterebbe ad uno sviluppo economico dell’Amazzonia, dall’altro è inutile negare che ciò comporterebbe un aumento della popolazione, dell’urbanizzazione e delle industrie con scarichi inquinanti in aria ed acqua, un conseguente cambio del clima locale con forti ripercussioni sul clima terrestre, la deforestazione comunque, lo stravolgimento dell’habitat naturale che circonda il grande fiume con serio pericolo estinzione di specie animali e vegetali. Da decenni continuiamo a dire che l’Amazzonia è il “polmone verde” del nostro pianeta: l’unica cosa che si dovrebbe fare è mantenerlo tale, visto che non sono molte le zone sulla Terra che hanno una tale capacità regolatrice sul clima del nostro pianeta. E, in fatto di lotta al cambiamento climatico, non è poco… LASCIAMO STARE L’AMAZZONIA!!!

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