Questo è il titolo di un interessante articolo scritto in questi giorni da Jared Diamond per il New York Times e tradotto per il quotidiano La Repubblica dalla giornalista Anna Bissanti. Il “fattore 32” quantifica la differenza di stile di vita tra il Primo Mondo (ovvero quello sviluppato, in cui abitano americani ed europei, giapponesi ed australiani) ed il Terzo Mondo (ovvero i paesi in via di sviluppo, quindi il resto degli americani ed africani, asiatici ed oceanici): infatti, il tasso medio col quale nel Primo Mondo si consumano risorse come petrolio e metalli (producendo quindi rifiuti di ogni genere e gas serra) è di circa 32 volte superiore di quello del Terzo Mondo! Quindi il miliardo di persone che vive nei paesi sviluppati ha un tasso relativo di consumo pro-capite di 32, mentre i restanti 5,5 miliardi di persone che vivono nei paesi poveri o in via di sviluppo hanno un tasso relativo di consumo pro-capite praticamente di 1!!! E’ come se ognuno dei 300 milioni di statunitensi consumasse (anzi consuma!) come 32 keniani: con una popolazione che è 10 volte superiore a quella del Kenia, gli USA consumano risorse nella misura di 320 volte quelle consumate dai keniani!!! La povertà di questi paesi comporta una migrazione massiccia verso i paesi sviluppati: ciò comporta un ulteriore aumento dell’indice globale di consumo in quanto gli immigrati tendono ad aumentare i propri consumi (senza comunque raggiungere il tasso 32) in quanto la società sviluppata del paese in cui sono emigrati glielo impone. E’ insomma un circolo vizioso. Ci sono poi alcuni paesi in via di sviluppo che stanno cercando di aumentare il loro tasso di consumo, come la Cina (il cui tasso di consumo è oggi 11 volte inferiore a quello degli USA) e l’India, e da non dimenticare anche il continuo aumento della popolazione mondiale. Il problema di tutto questo aumentare dei consumi comporta una sempre maggiore carenza di materie prime: pensate che, anche se tutti i paesi in via di sviluppo mantenessero il loro tasso di consumo pari ad 1 e la sola Cina arrivasse ad avere un tasso di consumo di 32, beh il tasso di consumo globale raddoppierebbe, con un aumento dei consumi del petrolio del 106% e di quello dei metalli del 94%!!! Se poi si aggiungesse anche l’India… allora il tasso di consumo globale triplicherebbe. E se, ancora, tutti i paesi in via di sviluppo all’improvviso colmassero il divario economico, allora il tasso globale di consumo andrebbe moltiplicato di 11 volte!!! Sarebbe come se la popolazione mondiale, mantenendo immutati rispetto a quelli attuali i suoi indici di consumo, raggiungesse i 72 miliardi di abitanti!!! Riporto testualmente questa frase di Jared Diamond: “Spesso promettiamo ai pesi in via di sviluppo che se solo adottassero buone politiche – per esempio istituendo governo onesti e praticando l’economia di libero mercato – saranno anch’essi in grado di godere dello stile di vita del mondo sviluppato. Questa promessa è impossibile da mantenere, è una beffa crudele: già ora incontriamo difficoltà non indifferenti a sostenere uno stile di vita da Primo Mondo per un solo miliardo di persone. Noi americani forse pensiamo ai crescenti consumi della Cina in termini di problema, ma i cinesi stanno soltanto cercando di raggiungere il tasso di consumo che noi già abbiamo. Sarebbe del tutto inutile dire loro di non farlo”. Diciamo che il nostro pianeta non ha materie prime sufficienti a garantire lo sviluppo di tutti i paesi arretrati (ma anche della sola Cina…): bisognerebbe cercare di rendere equi in tutto il mondo gli indici di consumo e gli standard di vita. Impresa davvero ardua… ma fattibile. Come ricorda lo scrittore, bisognerebbe quindi diminuire il tasso di consumo dei paesi sviluppati e questo si potrebbe fare anche senza veri e propri sacrifici da parte nostra: infatti gli standard di vita non sono strettamente collegati agli indici di consumo, testimonianza ne è che buona parte dei consumi americani vengono sprecati e contribuiscono in minima parte o per nulla nella qualità della vita. Ad esempio, i consumi di petrolio pro-capite in Europa occidentale sono la metà di quelli americani, e lo standard di vita europeo è molto più elevato di quello statunitense (aspettativa di vita, mortalità infantile, salute, accesso all’assistenza sanitaria, sicurezza finanziaria dopo il pensionamento, qualità delle scuole pubbliche, sostegno alle arti, ecc…). Un altro esempio è la pesca: la maggior parte delle zone sfruttate per la pesca sono tuttora soggette a criteri operativi non sostenibili e molte sono ormai prive di pesce o fruttano a livelli bassissimi proprio per la pesca scellerata, quando sappiamo che basterebbe gestirle in maniera più adeguata (e si potrebbe farlo), ma l’ingordigia umana non ha limiti…Stessa cosa vale per le foreste: sappiamo come utilizzarle per ricavare il legname in modo sostenibile ma non lo facciamo, e se lo facessimo avremmo legname sufficiente per i consumi di legna e carta di tutto il mondo. Quindi solo ridistribuendo la ricchezza si riuscirebbe a far avvicinare il tasso di consumo dei paesi in via di sviluppo a quello dei paesi sviluppati e “spreconi”. Ciò contribuirebbe ad affrontare in maniera più incisiva molti problemi correlati come il taglio delle emissioni dei gas serra (per la lotta al cambiamento climatico), per preservare le risorse idriche, per una migliore efficienza energetica, per la protezione del nostro ambiente. Insomma qualcosa di utile lo potremmo sicuramente fare. Lo scrittore americano si definisce “cautamente ottimista” per il futuro visto che qualcosa che si è mosso nel 2007, come il cambio di governo in Australia che ha deciso di aderire al Protocollo di Kyoto, come il governo degli USA che (pur tra mille difficoltà) ha dato il proprio consenso alla “Conferenza sul Clima” di Bali al taglio delle emissioni di gas serra, e come la Cina che ha acceso vari dibattiti su una politica ambientale più incisiva (dove l’opinione pubblica è riuscita ad ostacolare la costruzione di un enorme impianto chimico nei pressi della città di Xiamen). Pur sfiduciato per il futuro da tale situazione, voglio anch’io essere ottimista, ma come Jared Diamond, “cautamente”…
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