domenica 18 maggio 2008

Amitav Gosh: “LA POLITICA MIOPE NON PREVEDE CICLONI”

E’ l’interessante editoriale dello scrittore indiano Amitav Gosh pubblicato sul New York Times e tradotto da Guiomar Parada per il quotidiano La Repubblica di mercoledì 14 maggio 2008.
L’articolo prende spunto dal ciclone Nargis che due settimane fa ha colpito e devastato la Birmania, segnatamente l’area della foce dell’Irrawaddy, causando (dati aggiornati ad oggi) quasi 80.000 morti ma con ancora oltre 40.000 dispersi. Premettendo che Al Gore sta facendo un ottimo lavoro in fatto di sensibilizzazione mondiale sul “global warming”, non possiamo dare la colpa al cambiamento climatico per la creazione di questo ciclone (come lo stesso Al Gore ha ribadito in un TG1 serale di poche sere fa), in quanto ha raggiunto una potenza pari a “categoria 3” (su una scala da 1 a 5 ove 5 è il massimo) e quindi non proprio devastante: i danni maggiori sono stati invece causati dall’onda d’acqua sollevata dal ciclone (in questo caso alta 3-3.5 metri) penetrata verso l’interno e che ha devastato tutto (un po’ come successe per lo tsunami del 2004). Ed è purtroppo questa marea d’acqua che viene spesso sottovalutata nei cicloni: un’onda che viene chiamata “storm surge” (ovvero l’innalzamento del livello medio del mare provocato dall’azione del vento sulla superficie marina) alla quale è dedicato questo articolo di Amitav Gosh. L’inglese Henry Piddington, ispirato dal grande meteorologo britannico William Reid, nel 1853 (mentre le autorità coloniali britanniche stavano stendendo un progetto per la costruzione di un grande porto subito fuori dal limite esterno delle foreste di mangrovie del Bengala) disse: “Tutto e tutti dovranno essere pronti per assistere al giorno nel quale, in mezzo agli orrori di un uragano, si troveranno di fronte una terrificante massa di acqua salata che arriva loro addosso”. L’avviso fu ignorato, il porto fu costruito (si trattava di Port Canning) ma poco dopo, nel 1867, fu distrutto dalla marea d’acqua sollevata da un ciclone.

Sono passati 150 anni e la situazione non è cambiata, visto che all’arrivo di ogni ciclone viene indicato alla popolazione di stare chiusi in casa, ignorando il fatto che questa sarà la loro tomba quando arriverà la marea d’acqua, invece di spingerli a portarsi ai piano alti degli edifici o nelle alture. Certo, nel caso del ciclone Nargis sarebbe stato difficile in Birmania sfollare 9 milioni di persone o metterle al sicuro, visto che si tratta di zone paludose e completamente pianeggianti. Ma certo nei secoli in quest’area (quella del Golfo del Bengala) si sono susseguite distruzioni davvero incredibili da parte di cicloni: nel 1737 il ciclone Hooghly rase quasi al suolo la città di Calcutta e a lungo fu considerato il peggiore disastro della storia dell’umanità, anche se si pensa che la marea d’acqua sollevata abbia superato addirittura i 12 metri d’altezza!!! Nel 1876 il ciclone Buckerganj e nel 1970 il ciclone Bhola colpirono il Bangladesh causando circa 300.000 morti ciascuno, arrivando fino al ciclone (sempre in Bangladesh) del 1991 che causò la morte di oltre 100.000 persone. Se a questi eventi meteo, aggiungiamo la fragilità teutonica dell’area del Bengala, allora dobbiamo ricordare il terribile tsunami provocato dal violentissimo terremoto del 26 dicembre 2004 che causò la morte di ben 320.000 persone.
Quella del Bengala è quindi un’area altamente vulnerabile per quanto riguarda cicloni e terremoti. Cosa intende Amitav Gosh quando sostiene che “la politica miope non prevede i cicloni”? Nel suo articolo ad un tratto dice: “Gli stati-nazione tendono a vedere i propri interessi come confini all’interno delle frontiere. Tuttavia, la realtà è che le popolazioni che vivono attorno alla Baia del Bengala hanno un vitale interesse comune che non condividono invece con i propri concittadini delle zone non costiere dei loro paesi: possono essere raggiunte tutte dalla furia di quella massa d’acqua. Hanno chiaramente quindi un interesse comune a lavorare insieme per mitigare gli effetti dei disastri naturali progettando, ad esempio, rifugi elevati poco costosi ed adatti al terreno, adoperandosi per conservare le foreste di mangrovie che costituiscono la migliore protezione contro l’innalzamento del mare o creando una forza congiunta di pronta risposta che abbia familiarità con le condizioni locali”. Niente di tutto ciò è presente in Birmania e gli effetti del ciclone sono ora sotto gli occhi di tutti, tranne che della giunta militare birmana… Prosegue infatti Amitav Gosh: “Ciò richiederebbe che questi governi riconoscessero innanzitutto una verità fondamentale e sempre più evidente della condizione umana, vale a dire che nel far fronte alla furia della natura nessuna nazione è un’isola. Ed è qui che l’orgoglio nazionale diventa un ostacolo, perché accettare ciò esige una umiltà che i paesi non hanno facilmente” (vedi il rifiuto di Bush alle offerte di aiuti internazionali dopo il passaggio del ciclone Katrina sulla città di New Orleans…).
Lo scrittore indiano, parlando di efficienza in fatto di prevenzione alle calamità naturali, riporta l’esempio della Repubblica di Mauritius, un’isola posta nell’Oceano Indiano sud-occidentale che viene chiamata dai meteorologi la “fabbrica dei cicloni” (visto che in questo tratto di mare se ne creano parecchi): nell’isola è stato ideato un sofisticato sistema di misure preventive che prevede una rete di rifugi anti-ciclone, l’educazione della popolazione (vi si eseguono regolari esercitazioni), un buon sistema di avvisi dati con grande anticipo e l’obbligo a fermare le attività e a chiudere le scuole quando è in arrivo un ciclone. Un esempio si è avuto in occasione del passaggio del fortissimo ciclone “Gamete” dello scorso anno (raggiunse la potenza massima, “categoria 5”): transitato sull’isola, causò solo 2 morti.
Questo sta a dimostrare che gli stati ricchi e sviluppati non sono certo invulnerabili a questi disastri meteorologici e, proprio per questo, uno stato non deve essere necessariamente ricco e tecnologicamente avanzato per essere preparato ad affrontare simili disastri: la volontà politica ricopre una buona fetta di questa capacità di preparazione, ed è quella che in Birmania è mancata… Ecco perché “la politica miope non prevede i cicloni”.
Ha ragione Amitav Gosh quando sostiene che la distruzione delle mangrovie (risalente a 150 anni fa) ha contribuito in larga misura al disastro birmano: come sostiene Surin Pitsuwan, segretario generale dell’ASEAN (associazione delle nazioni del sud-est asiatico), la presenza delle mangrovie nei delta dei fiumi è strategica sia per proteggere dalle onde sia per evitare che l’acqua salata inondi i terreni fertili dell’entroterra. Un esempio lampante in merito si è avuto in occasione dello tsunami del 26 dicembre 2004: in un villaggio dello Sri Lanka provvisto di barriera di mangrovie vi sono stati solo 2 morti, mentre nel vicino villaggio ove le mangrovie erano assenti i morti sono stati oltre 6.000!!!
Recenti studi stanno lanciando inoltre l’allarme su un potenziamento dei cicloni in futuro: se l’aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera comporta un’atmosfera più calda e più stabile (con diminuzione del numero di cicloni), allo stesso tempo l’atmosfera più calda aumenterebbe anche l’evaporazione della superficie marina con un conseguente aumento dell’intensità dei cicloni che scaricherebbero maggiori quantità d’acqua, venti più forti ed onde più alte. Ecco perché la politica dovrebbe aprire gli occhi…

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