giovedì 16 ottobre 2008

Non solo crisi finanziaria, ma crisi globale…

Alcune settimane fa il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un’interessante intervista di Riccardo Staglianò a Jeremy Rifkin, economista ed attivista ambientalista americano, che è Presidente della “Foundation on Economic Trends” e della “Greenhouse Crisis Foundation”. L’intervista è stata fatta in seguito alla gravissima crisi finanziaria che sta sconvolgendo il nostro pianeta e la frase che riassume tutta l’intervista è la seguente: “La crisi non è una ma sono tre. Quella del credito è quella di cui tutti parlano, ma sono quelle simultanee dell’energia e del riscaldamento globale a renderla peggiore delle altre che abbiamo conosciuto, inclusa quella del ‘29”. L’intervista prosegue così (in neretto le domande, in corsivo le risposte).
Il peggio ha da venire? “Temo di sì, perché per il momento si cura una crisi ma non le altre due, che intanto peggiorano. Ognuna alimenta l’altra, accelerandola. Partiamo dalla prima: negli USA usciamo da quasi vent’anni di spese pazze basate sulle carte di credito. In questo modo abbiamo sostenuto la nostra economia ma anche quelle straniere. Però, mentre nel 1991 avevamo il 9% di risparmi, oggi siamo al reddito negativo, un ossimoro che dice che spendiamo di più di quanto guadagniamo. Con stipendi stagnanti che, in termini di potere d’acquisto, sono scesi. Così le banche, dopo aver regalato le Visa, hanno pensato bene di inventarsi qualcos’altro: regalare i mutui a gente che non aveva come ripagarli. Con le conseguenze cui assistiamo oggi”.
Alla prima crisi lei aggiunge quella dell’energia. Ci spiega? “L’11 luglio, quando il petrolio è arrivato a 147 dollari al barile, abbiamo raggiunto ciò che io chiamo il picco della globalizzazione, un punto di non ritorno cruciale. Tutti i prezzi sono cresciuti perché il greggio serve per produrre quasi ogni merce. La capacità di acquisto scendeva, l’inflazione saliva e l’economia è entrata in stallo. E se anche, come è successo nelle ultime settimane, il costo del barile è sceso, l’effetto dell’aggiustamento non regge. Perché la verità è che l’oro nero ha raggiunto il suo peak pro capite già nel 1979: la sua disponibilità non potrà crescere mentre questo è il destino del suo prezzo. Che innescherà di nuovo la spirale descritta”.
E la terza crisi? “E’ quella più nuova, quella degli effetti in tempo reale del riscaldamento climatico. Gli uragani si moltiplicano, da Katrina ad Ike, e spazzano via assieme alle vite anche miliardi di dollari. Che le assicurazioni non riescono più a coprire. L’impatto del clima impazzito sull’agricoltura è pesantissimo. E questo fattore, se già gli altri due non fossero già abbastanza complessi da risolvere, è quello più difficilmente arginabile nel breve periodo”.
Vuol dire che quest’offensiva a tridente è inarrestabile? “No, un modo c’è. Ovvero concentrarsi sull’alba della terza rivoluzione industriale piuttosto che sul tramonto della seconda, sul futuro anziché sul passato. Mi spiego. Puntando sulle energie rinnovabili, costruendo case ecologiche, auto elettriche e così via si potrebbe rivitalizzare l’economia reale in questi anni sventuratamente trascurata a favore della finanza”.
Sì, ma prima che il sol dell’avvenire fotovoltaico sorga, il sistema creditizio potrebbe andare definitivamente a gambe all’aria, non crede? “Le do una brutta notizia. Il trilione di dollari dei contribuenti americani già spesi per i vari salvataggi, da Fannie Mae e Freddie Mac in poi, basteranno a coprire una parte ridicola del buco. Si tratta di ripianare quasi vent’anni di debiti: è un piano naif che non funzionerà. Meglio spendere quei soldi per finanziare un passaggio rapido alla terza rivoluzione, che invertirà la tendenza innescando un circolo virtuoso, creando milioni di posti di lavoro. So che la gente vorrebbe uscire da questo pantano domani, ma non è possibile”.
Davvero peggio della Grande Depressione? “Direi di sì. Allora c’era una mostruosa crisi di credito ma un sacco di energia, e del global warming non si parlava neanche. Adesso questi tre elefanti si muovono tutti in una piccola stanza. E non promettono niente di buono”.
Proprio nessuna speranza? “Non ne vedo per gli USA ma per l’Europa sì. Soffrirete della nostra crisi ma avete risparmi delle famiglie, una valuta forte, maggiori esportazioni. E un modello sociale meno iniquo. Anni di neoliberismo sfrenato ci hanno sbalzato fuori dal posto di leader economico”.
E, a proposito della grande quantità di risorse che consumiamo, come ogni anno ad un certo punto cade l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui il reddito annuale a nostra disposizione finisce e gli esseri umani viventi continuano a sopravvivere chiedendo un prestito al futuro, che viene calcolato dal Global Footprint Network (l’associazione che misura l’impronta ecologica, ovvero il segno che l’uomo lascia sul pianeta prelevandovi ciò di cui ha bisogno per vivere ed eliminando ciò che non gli serve più, cioè i rifiuti): nel 1961 metà della Terra (precisamente il 55%) era sufficiente per soddisfare le esigenze dell’intera umanità. Nel 1995 avevamo già consumato più di quanto veniva prodotto, tanto che l’Earth Overshooy Day cadde il 21 novembre. Nel 2005 tale data si è anticipata al 2 ottobre, mentre quest’anno è caduta addirittura il 23 settembre considerato che abbiamo consumato più del 40% di quello che la natura ci aveva offerto!!! Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, con questo trend nel 2050 tale data si anticiperà addirittura al 1° luglio… Naturalmente vi è un notevole squilibrio tra Stato e Stato: se il modello di vita degli USA venisse esteso a tutto il pianeta ci vorrebbero ben 5.4 Terre, con lo stile Regno Unito 3.1, con lo stile tedesco 2.5 e con quello italiano 2.2…
Cifre disastrose: è partita l’autodistruzione…

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