Il PONTE, simbolo perfetto della deriva italiana...
Ebbene, pochi giorni fa Curzio Maltese sull’inserto Il Venerdì del quotidiano la Repubblica pubblica un articolo intitolato: “Il Ponte, simbolo perfetto della deriva italiana”, che trovò così interessante che pubblico integralmente.
“Ricomincia la favola del Ponte sullo Stretto. Ci vorrebbe ancora la forza d’indignarsi. Il Meridione cade a pezzi, le montagne franano al primo acquazzone d’autunno e il governo pompa miliardi nella più assurda delle inutili imprese. Ma come si fa? Dopo tanti anni, alla fiaba del ponte ci si affeziona, la seguiamo ormai come uno sceneggiato, una saga. Berlusconi ha assicurato che il cantiere riaprirà prima di fine anno e l’opera sarà pronta nel 2016. Nella cabala del Ponte in effetti il 2016 mancava. ‘Soltanto sei anni, sarà un altro record’ ha festosamente promesso il premier. Ma anche per lui gli anni passano. Nel 2005 aveva garantito da Vespa: ‘Il Ponte si può completare in cinque anni al massimo, entro il 2010’. Del resto, trattandosi di un’opera che non vedremo mai, avrebbe anche potuto dire il 2014, il 2013 o il prossimo compleanno di Pier Silvio, ornato di candeline per tutti i tre chilometri e mezzo della campata. L’assurdità economica del Ponte è dimostrata da un’ampia letteratura. Sono in perdita cronica i ponti necessari che collegano Stati ricchissimi, come Danimarca e Svezia, o aree urbane popolate da decine di milioni di persone. Figurarsi su un ponte che collega due piccole città come Reggio Calabria e Messina, in una delle aree più povere d’Italia. Il danno ambientale è provato da decine di studi, condotti da associazioni ecologiste ma anche da tecnici al servizio dello Stato. L’ultima mazzata calata sul progetto è arrivata con la pubblicazione di un libro fondamentale, e forse per questo introvabile, stampato dal Genio Civile e firmato da un grande ingegnere calabrese, Remo Calzona, da sempre favorevole alla costruzione del Ponte. Non di questo, però, visti i costi faraonici e il forte rischio d’insostenibilità. Eppure il Ponte s’ha da fare. Non l’opera reale. Bisogna alimentare l’eterno progetto, l’eterno cantiere che ogni cinque anni fa slittare la data di fine lavori e intanto, sempre ogni cinque anni, moltiplica i costi. Prima un miliardo e mezzo, poi tre, ora sei. Due anni fa, parve incredibile che in Italia qualcuno chiudesse una volta per tutte i rubinetti di uno spreco colossale, come ha provato a fare Prodi. E infatti non vi riuscì, schiantato dall’insurrezione di lobby impensate, perfino nel partito di Antonio Di Pietro. Un ponte che non si farà mai e sarà costato più di ogni altra opera pubblica della storia. Non è una metafora perfetta della nostra deriva?”.
Condivido quasi appieno quanto scritto da Maltese, ma ho paura a condividerne un passaggio: ovvero quando dice che il Ponte non si farà mai. Lo spero tanto, ma il dubbio rimane e farlo sarebbe una sconfitta per il Paese intero: intanto altre persone moriranno alla prossima alluvione perché non si spenderà un centesimo per sistemare una montagna o l’alveo di un fiume e, anche se il ponte non si farà, una montagna di soldi verrà intanto spesa per consulenze, progetti, plastici, pubblicità, sopralluoghi e chi più ne ha più ne metta. Per i morti ci si penserà più avanti…
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