ROMA: rinvenuta testa marmorea della dea Diana
La notizia l’ho appresa da un articolo di Andrea Carandini sul quotidiano la Repubblica: Carandini è il più famoso ed autorevole archeologo italiano, oltre che uno dei più importanti al mondo, tanto che il 25 febbraio 2009 il ministro Bondi lo ha nominato Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali (in sostituzione del dimissionario professore Salvatore Settis). È professore ordinario dal 1980 e dal 1992 insegna archeologia classica presso l'Università La Sapienza di Roma. Tra le sue scoperte più importanti, le mura del Palatino di Roma risalenti all'VIII secolo a.C. Il 20 aprile 2006 è stato insignito della Medaglia d'Oro ai Benemeriti della Cultura e dell'Arte; molti i libri che ha scritto, incentrati sull'archeologia e su Roma.
Torniamo alla scoperta che è stata effettuata: sembrava una delle “solite” tante scoperte che vengono rinvenute periodicamente nel ricco sottosuolo romano, ma subito si è capito che si era di fronte a qualcosa di importante: infatti, da anni si sta cercando, invano, sull’Aventino (ove è stata rinvenuta la testa marmorea) il mitico tempio di Diana.
Già nel ‘700 era stata rinvenuta in quest’area una statuetta in alabastro di Diana, tanto che già allora si ipotizzò che il tempio di Diana si trovasse sull’Aventino a sinistra della chiesa di Sant’Alessio: la chiesa si trova sulla sommità del colle ed è stata costruita sopra il tempio di Minerva (tempio che Marziale posizionava “in arce”, ovvero sulla sommità del colle). Inoltre, consultando un frammento della pianta marmorea di Roma (risalente agli inizi del III secolo d.C.), si scopre che accanto il tempio di Minerva c’era proprio quello di Diana (che secondo Giovenale sorgeva anch’esso “in arce”). Quel frammento della pianta marmorea della città è davvero importante: partendo dal fatto che i tempi pagani si disponevano lungo l’alto ciglio dell’Aventino sopra il Tevere, come anche le chiese, Carandini e colleghi sono riusciti a collocare il tempio di Diana proprio vicino alla chiesa di Sant’Alessio, nonostante questa loro scelta topografica sia stata spesso criticata da altri addetti ai lavori.
Tra l’altro, sempre quel frammento della pianta marmorea di Roma rivela anche parte della pianta del tempio di Diana: aveva una fila di 8 colonne ioniche sulle due fronti e due file di 15 colonne sui lati (come il tempio di Efeso, preso come modello dall’ammiraglio trionfatore Cornifico che aveva l’abitudine di girare Roma in elefante…). Si trattava senza ombra di dubbio di una delle meraviglie della Roma augustea, ma finora non gli è mai stata data la dovuta importanza: sarebbe una gran bella soddisfazione riuscire a riportare alla luce il tempio. Si potrebbe farlo facendo eseguire una prospezione geomagnetica in un cortile dell’Istituto degli Studi Romani, col quale si è già riusciti ad individuare il tempio di Quirino (nei giardini del Quirinale) e potrebbe essere utilizzato per rinvenire anche altri monumenti perduti come il tempio di Cerere, Libero e Libera risalente al V secolo a.C., sempre sull’Aventino (sulla pendice verso Circo Massimo).
Sia quello di Diana che quello di altri non ancora rinvenuti, sono templi tra i più importanti della Roma antica in quanto erano legati alla plebe, la quale si riuniva proprio davanti ad essi. Ad esempio, il culto di Diana sull’Aventino era stato istituito intorno alla metà del VI secolo a.C. dall’imperatore Servio Tullio come contraltare romano del culto ad Aricia (Nemi): lo stesso Servio Tullio aveva imitato Tarquinio Prisco che agli inizi del VI secolo a.C. aveva istituito il cultod i Giove Laziare sul Monte Albano (Cavo). Si tratta di tasselli importanti della storia romana in quanto sono i presupposti teologici dell’egemonia di Roma sui Latini non solo sulla riva sinistra del fiume Tevere (così come vollero a suo tempo Romolo, Tullo Ostilio e Anco Marcio) ma anche su tutto il Lazio antico (così come vollero Tarquinio Prisco e Servio Tullio), il che gettò le basi per quella che sarebbe diventata la Roma “potenza mediterranea”.
Trovo molto interessante come conclude il suo articolo Andrea Carandini in merito alla storia di Roma, pensiero che riporto integralmente: “Se continuiamo a procedere per frammenti sparsi che si accumulano, non adeguatamente organizzati e cartografati, non riusciremo a capire, raccontare e mostrare la città nel sistema dei contesti che si succedono nel tempo. Il fine sta dunque nel riguadagnare i singoli frammenti ai contesti per spiegare la storia nello spazio, oltre che nel tempo. Quando spiego Roma a visitatori anche colti, perfino ad archeologi non specialisti, mi accorgo che Roma non si spiega da sola”. Il sottosuolo di Roma ha ancora tanto da restituire…
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