venerdì 19 febbraio 2010

ROMA: L’ALBERO CON IL RAMO D’ORO…

Esiste una leggenda relativamente alla storia di Roma antica, tramandata da Ovidio: a Nemi (sui Castelli Romani) c’è un laghetto che si dice fosse lo specchio di Diana (la dea della caccia alla quale sul posto fu dedicato un santuario). Nei pressi di questo lago (precisamente sulla riva settentrionale) fu costruito un santuario in nome della dea Diana ma la leggenda narra che ci sarebbe stata un’area (limitrofa a questo santuario) che conteneva un piccolo bosco recintato e una specie di vaso incassato nel terreno dove era cresciuto il cosiddetto albero col ramo d’oro: nessuno vi poteva spezzare alcun ramo da quest’albero, solo uno schiavo fuggitivo (se ci fosse riuscito) poteva spezzarne uno e, in questo caso, aveva la possibilità di battersi col sacerdote e, se l’uccideva, avrebbe regnato in sua vece col titolo di re del bosco (rex nemorensis).
Una leggenda molto affascinante che nel tempo ha ispirato il celebre dipinto di William Turner (realizzato nel 1834 ed ora esposto alla Tate Gallery di Londra), nonché una grande opera letteraria intitolata “Il ramo d’oro”, scritta fra il 1890 ed il 1915 dall’inglese antropologo e storico delle religioni James Frazer (quest’opera ha poi avuto un peso molto importante nel campo della psicanalisi, della poesia, della letteratura e del cinema contemporaneo: in particolare avrebbe influenzato parecchio Siegmund Freud il quale ammetteva di dovere all’opera di Frazer l’idea dell’uccisione del padre che sta nel cuore di “Totem e tabù”). A dover di cronaca, qualcun altro sarebbe riuscito a spezzare un ramo del famoso albero: infatti, nell’Eneide di Virgilio Enea effettivamente stacca il ramo d’oro per poter entrare nell’Ade.
Ebbene, ora qualcosa di straordinario è affiorato nella zona durante alcuni scavi (il territorio romano sta regalando molte soddisfazioni agli archeologi in questi ultimi anni): proprio a Nemi gli archeologi avrebbero rinvenuto il vaso (incassato nel terreno) che conteneva questo albero col ramo d’oro. Attorno sono stati tra l’altro ritrovati i resti dell’immenso santuario dedicato a Diana (4.000 mq, il più grande mai trovato nel Lazio) oltre che fontane, terrazzamenti, una cisterna e un ninfeo (i reperti più antichi risalgono addirittura al XIII-XII secolo a.C.).
L’archeologo Filippo Coarelli (fino allo scorso anno professore a Perugina) sta seguendo i lavori: è riuscito a trovare il tempio principale all’interno del santuario di Diana (che, oltre che il più grande, è anche il più antico finora scoperto nel Lazio), la recinzione che delimita l’area e, attraverso un varco che interrompe la cinta di possenti mura, porta appunto ad una zona dove sono stati fatti gli altri ritrovamenti. In realtà, l’archeologo spiega in un articolo di Francesco Erbani pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 17 febbraio 2010 che inizialmente il lavoro non fu entusiasmante, anzi: infatti, fra i reperti rinvenuti e le mura c’era un’area dove durante l’epoca medievale si era verificato un imponente crollo, per mesi si era scavato togliendo grossi blocchi di lava con la convinzione che in passato ci sarebbe stato sul quel posto un santuario, ma affioravano solo cocci di ceramica… Quindi Coarelli stava pensando di fare un buco nell’acqua: ma l’insistenza dei lavori ha portato a risultati straordinari. Infatti, si scoprì subito il recinto e confrontando quello che si trovava con quello che Frazer scrisse nella sua opera si riuscì a svelare il segreto del bosco e dell’albero dal ramo d’oro. Coarelli spiega che nel rituale citato nella leggenda si riconosce una struttura primitiva che richiedeva al re (capo non solo politico e religioso ma anche militare) una grandissima efficienza fisica: il duello serviva a confermare questa valenza fisica e, qualora questa fosse venuta meno, il re era destinato a cadere e a morire. Questo luogo sarebbe poi diventato il centro federale della lega latina, dove i vari rappresentanti delle comunità si riunivano per le grandi occasioni religiose e civili.
Ora però i lavori sono sospesi, e non per il maltempo… Coarelli afferma infatti che il problema sta negli scarsi finanziamenti, il proseguimento dei lavori è appeso ad un filo, e dice: “Qui si tocca con mano l’assoluto disinteresse nel quale affonda il nostro patrimonio”. La conferma arriva dall’operato dell’attuale governo Berlusconi che, per motivo di risanamento dei conti pubblici, sta tagliando i fondi a quei settori che dovrebbero essere gli ultimi ad essere toccati da questi tagli, ovvero la scuola, l’arte e la cultura: si continua ad investire decine di miliardi di euro sul Ponte di Messina, su una famigerata Protezione Civile, su un inquietante rilancio del nucleare, ed intanto il più grande patrimonio storico – artistico italiano (il più importante al mondo) sta andando in rovina per la mancanza di fondi. Complimenti caro Sultano (mi perdoni Giorgio Bocca se continuo ad usare questa sua splendida ed altrettanto reale locuzione)!

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