Così l'edilizia è selvaggia!
Partiamo da alcune cifre. Dal 1948 ad oggi sono stati realizzati ben 4.600.000 edifici abusivi, il che vuol dire una media di 74.000 ogni anno (203 al giorno), nei quali vivono oggi circa 6 milioni di persone!!! IMPRESSIONANTE! Quasi la metà degli abusi edilizi è stata commessa al Sud Italia (se aggiungiamo il Lazio si arriva al 64%!). Quando nasce l'abusivismo? Nasce durante il Fascismo (ma forse addirittura prima): esplode però negli anni '50, nell'immediato dopoguerra che vedeva il nostro paese uscire distrutto dalla seconda guerra mondiale, probabilmente per il mancato intervento pubblico allora nell'edilizia che mettesse a disposizione case a prezzo contenuto (non era ancora esploso il boom economico). Come sostiene Berdini, questo però non doveva essere l'unica spiegazione, ma ce ne dovrebbe essere stata anche una geografica visto che sin da allora l'abusivismo si era concentrato soprattutto al Sud e non omogeneamente in tutto il territorio italiano (omogeneamente era invece uscito distrutto economicamente dalla guerra). Si parte dall'abusivismo cosiddetto "familiare" (chi costruisce l'edificio abusivo per la propria famiglia) diffuso nell'immediato dopoguerra, fino ad arrivare all'abusivismo cosiddetto "economico" degli anni '60-'70 (sulla necessità dei più deboli piomba la speculazione che lottizza, costruisce e vende senza richiedere nessuna licenza edilizia). Dalla fine degli anni '70 (e ancor più nei decenni successivi) l'abusivismo diventa di "pura valorizzazione", che consiste nella costruzione delle famigerate seconde case (a fine di capriccio) in aree ove non si potrebbe costruire perchè ad alto valore paesaggistico o a rischio idro-geologico (come la campagna romana, la valle dei Templi di Agrigento, le coste siciliane, campane, sarde e calabresi, le aree fragili di Sarno e del Messinese, il Vesuvio, le isole minori tra cui Ischia, ecc...).
Abusivismo edilizio è non solo costruire dove non si può, ma è anche (e soprattutto) un pericolo costante per il dissesto idro-geologico, per l'aumento delle frane, per la perdita di valore del nostro paesaggio, per lo svuotamento dei centri storici delle città e la conseguente sempre maggiore urbanizzazione, per gli scarichi fognari illegali, per l'inquinamento. Ma tant'è: l'italiano è sempre stato poco inlcine al rispetto delle regole: in Europa è diffuso un "patto sociale riconosciuto" per cui la pianificazione urbanistica è accettata dalle autorità pubbliche, dagli operatori economici e dai cittadini. In italia invece non vige questo patto, ma anzi vige un patto non scritto fra chi amministra e chi è amministrato tendente a non rispettare le regole perchè si considera l'edificare come un diritto proprio inseparabile dal possesso del suolo.
In tutto questo i famigerati condoni edilizi hanno avuto un ruolo devastante: ne sono stati fatti tre (nel 1985, nel 1994 e nel 2004), che hanno messo nella testa delle persone il principio che la sanatoria edilizia è un normale sistema di governo del territorio (infatti nei decenni gli abbattimenti di illeciti edilizi sono stati davvero una miseria). Proprio in questi giorni sto leggendo il libro di Roberto Ippolito "Il Bel Paese maltrattato: viaggio tra le offese ai tesori d'Italia" (edito da Bompiani, pagg. 380, costo € 18,00), nel quale il capitolo 3° "La pretesa della legalità" è dedicato all'abusivismo edilizio soprattutto nell'isola di Ischia, dove raggiunge percentuali inqualificabili, che purtroppo a cadenza regolare comporta frane e dissesti idro-geologici con perdita di vite umane. Da pelle d'oca...
Concludo citando (perchè condivido pienamente) la parte terminale dell'articolo di Erbani: "L'abusivismo è destinato a continuare perchè la pratica dei condoni non si è arretrata. E l'esperienza insegna che i condoni non occorre farli, basta prometterli per scatenare la corsa al mattone illegale". Anche qui lo Stato ha le sue pesanti responsabilità, sia per i condoni edilizi permessi sia per la mancanza di controlli e di prevenzione, permettendo lo sfascio del territorio e la perdita di vite umane. Praticamente un non-Stato del quale vergognarsi.
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