martedì 14 maggio 2013

IL CEMENTO FAMELICO

E' questo il titolo di un articolo di Salvatore Settis pubblicato lo scorso febbraio sul quotidiano la Repubblica. Secondo i recenti studi dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, http://www.isprambiente.gov.it/it/ispra), che ricostruiscono l'andamento del consumo di suolo in Italia dal 1956 al 2010, siamo passati da un consumo di suolo di circa 8.000 kmq nel 1956 a oltre 20.500 kmq nel 2010: quindi, se nel 1956 ogni italiano aveva perso 170 mq, nel 2010 ne ha persi 340!! Anzi, lo diciamo diversamente: 8 mq al secondo per ciascun secondo degli ultimi 5 anni!!! Questo è il suolo che si sta consumando in Italia, soprattutto tra Lombardia, Veneto e Lazio. Questo, naturalmente, ci sta allontanando notevolmente dai limiti europei: se il consumo medio del suolo annuo è del 2,8% in Europa, in Italia è del 6,9%!!! E' come se ogni anno si costruissero due o tre città nuove delle dimensioni di Milano o di Firenze, senza dimenticare che siamo un paese a crescita demografica zero... Con tutte le conseguenze del caso: diminuzione dei terreni a disposizione dell'agricoltura, impermeabilizzazione del territorio con sempre più rischi alluvionali e idrogeologici, ecc... Dice Settis: perché costruiamo e per chi? “Da 50 anni trova credito in Italia la menzogna secondo cui l'edilizia (comprese le grandi opere pubbliche) sarebbe uno dei principali motori dell'economia. È per questo che si sono succeduti, da Craxi a Berlusconi, irresponsabili condoni dei reati contro il paesaggio. In nome di una cultura arcaica, l'investimento nel mattone continua ad attrarre investimenti, anche per lavare il denaro sporco delle mafie, stabilizzandolo nella rendita finanziaria. Sfugge a politici ed imprenditori che la presente crisi economica nasce proprio dalla bolla immobiliare americana. Peggio, essi si tappano gli occhi per non vedere che la crisi che attanaglia l'Italia è dovuta, anche, alla mancanza di investimenti produttivi e di capacità di formazione. Si utilizza, invece, il nostro suolo come se fosse una risorsa passiva, una cava da sfruttare spolpandola fino all'osso”. Come dargli torto... 
Il problema è che questo succede nel paese che per primo al mondo ha posto la tutela del paesaggio fra i princìpi fondamentali dello Stato (art. 9 della nostra cara Costituzione). La via d'uscita dalla crisi economica e per rilanciare il nostro paese non è il cemento, bensì creare una rete di sviluppo che sia in armonia con il bene pubblico, col nostro territorio e con la Costituzione. E qui mi allaccio al bel articolo “Edilizia e ambiente, ecco dove si può creare lavoro” di Luciano Gallino pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 10 maggio 2013. Anziché continuare a costruire e a cementificare, perché non puntare sulle seguenti forme occupazionali: sistemazione della rete acquedotto nazionale, che perde metà dell'acqua che trasporta; sistemazione dei beni culturali che cadono a pezzi; adattamento delle milioni di abitazioni costruite ancora con criteri energetici vetusti; messa a norma degli edifici scolastici; sistemazione e pulizia delle migliaia di chilometri di torrenti e fiumi e delle decine di migliaia di kmq di boschi e terreni, mettendoli al riparo dal rischio idrogeologico; ristrutturazione almeno della metà degli obsoleti ospedali visto che le terapie e le diagnosi di oggi richiedono spazi organizzativi diversi rispetto al passato; messa in sicurezza antisismica dei milioni di edifici pubblici e privati presenti in Italia. 
Ma vi rendete conto quanti milioni di posti di lavoro ad alta intensità e a lungo impiego comporterebbero tutti gli interventi appena citati? E quanti tipi di impieghi, dai manovali agli ingegneri. Ci si potrebbero impiegare migliaia di piccole imprese, cooperative, artigiani. E i soldi? Non utilizziamoli più per Tav, ponti sugli stretti, nuove autostrade, aerei militari e missili (e stiamo parlando di decine e decine di miliardi, ripeto, miliardi di euro): impieghiamoli in questi interventi, rilancerebbero immediatamente l'economia e l'occupazione e avrebbero riflessi positivi su tutto il nostro territorio. Certo, serve un piano strutturale importante e serio, e qui subentra la politica: potrà mai farlo? O potrà mai volerlo?

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