Visualizzazione post con etichetta Terra Madre. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Terra Madre. Mostra tutti i post
venerdì 4 ottobre 2013
In questi giorni ho scritto più post dedicati alla lettera scritta da Papa Francesco ad Eugenio Scalfari, a quella scritta dal Papa emerito Benedetto XVI a Piergiorgio Odifreddi, all'incontro-intervista avvenuto ancora tra Papa Francesco e lo stesso Scalfari. Ora vengo a conoscenza che sabato 28 settembre 2013 Papa Francesco ha telefonato a Carlo Petrini (gastronomo, giornalista e scrittore italiano, fondatore dell'associazione Slow Food, http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Petrini_%28gastronomo%29 e http://www.slowfood.it/), che spesso scrive sul quotidiano la Repubblica e che proprio su questo giornale il 3 ottobre ha raccontato in un suo articolo il contenuto di questa telefonata. Ricordo che Carlo Petrini è agnostico (http://it.wikipedia.org/wiki/Agnosticismo).
Tutto parte dalla donazione a Papa Francesco da parte di Carlo Petrini del suo libro “Terra Madre” (edito da la Feltrinelli, 192 pagine, costo € 12,00) , incentrato sul tema “il futuro del cibo è il futuro della Terra”: Petrini lo ha mandato al Papa il 7 settembre in occasione del digiuno indetto dallo stesso Papa per la mobilitazione pacifica in favore della pace in Siria.
Nella telefonata, come racconta Petrini, il Papa ha voluto sottolineare come le buone pratiche delle comunità rurali siano preziose per il destino della Terra, ricordando come sia straordinario il lavoro delle persone che praticano questo tipo di agricoltura, di coloro che sono dell'idea che accumulare denaro non deve essere il fine principale (dice il Papa: “Mia nonna mi diceva che quando si muore, il sudario non ha tasche per mettere i soldi”). Nella sua lettera di presentazione inviata al Papa assieme al libro, Petrini gli racconta della sua infanzia ed adolescenza avvolta dalla fede cristiana insegnatagli dalla sua amata nonna, la quale allo stesso tempo praticava la fede cattolica e condivideva lo spirito libertario e socialista del suo uomo, superando inoltre con dignità i tempi della condanna papale verso i comunisti.
Dice Petrini: “Dai tempi della mia giovinezza ho maturato e mantengo uno spirito agnostico, ma l'assenza di religiosità non mi ha impedito in questi anni di condividere espreienze e civili battaglie con donne e uomini di fede".
E così dovrebbe essere.
Concludo con le parole dello stesso Petrini, che condivido appieno: “Non ho le capacità o le conoscenze per aprire un dialogo profondo e colto sui temi della fede, ma avverto che, se l'umanità vuole uscire dal deserto di idee che la circonda, persone che sanno dialogare come Papa Francesco sono preziose”. Ha perfettamente ragione: il dialogo è alla base di una società civile. E il dialogo attuale tra credenti e non credenti aprirà grandi strade, in ogni campo.
domenica 31 ottobre 2010
Ecco gli ORTI che salveranno l'Africa!
Dal 21 al 25 ottobre scorsi si è tenuta a Torino la 4° edizione di "Terra Madre" (http://www.terramadre.info), ovvero il Social Forum dell'Agricoltuta di tutto il mondo che ha visto 7.000 partecipanti di cui 5.000 delegati da 163 Paesi di tutto il pianeta, un punto d'incontro tra contadini, pescatori e allevatori che vogliono difendere la biodiversità, visto anche che il 2010 è l'Anno Internazionale della Biodiversità (il forum è creato da Slow Food, http://www.slowfood.it).
Durante il forum si è parlato anche degli ORTI che salveranno l'Africa: si tratti di veri e propri orti da coltivare nelle periferie delle città per salvare i disperati dalla malavita e da coltivare nelle zone agricole ormai ridotte a mono-coltura per soddisfare l'export e non il fabbisogno alimenate locale (e ce ne sarebbe molto...). Dice Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food: "La pressione delle multinazionali, delle monocolture finalizzate all'esportazione, dei pesticidi, dell'urbanizzazione, dell'avanzata del deserto, ha stravolto equilibri secolari. Nelle bidonville in crescita violenta si è persa la memoria dei saperi alimentari che consentivano di sopravvivere anche in condizioni molto difficili e i prodotti della tradizione sono stati sostituiti dal fast food".
Ecco perchè è nata l'idea di questi orti, in cui recuperare i prodotti locali e soddisfare pertanto l'esigenza alimentare di quei popoli. Già ne sono stati istituiti 150 in 20 paesi africani, ma l'obiettio è di arrivare almeno a 1.000 entro la fine del 2011, anche se i problemi certo non mancano. Alcuni esempi di orti già fatti? In Senegal, dove fino a pochi anni fa il 95% del riso coltivato proveniva dal Sud-Est Asiatico e le colture tradizionali erano ormai la minima parte, oggi grazie al progetto "Mangeons local" (nato nel 2008 e sostenuto dalla Regione Piemonte) si è creata una rete di consumo basata sul fonio (un cereale locale), sul miglio e sul sorgo, che verranno coltivati in questo orti garantendo quindi la coltivazione di prodotti locali che andranno a sostenere l'alimentazione locale e non le multinazionali. In Costa d'Avorio, dove i conflitti interni hanno ostacolato sempre di più la circolazione delle merci e la produzione agricola, gli orti hanno come obiettivo il recupero di alcuni prodotti locali come il sumbalà, un composto che aumenta la sapidità dei cibi che era andato in disuso dopo una incredibile campagna pubblicitaria a favore del dado da brodo... In Guinea Bissau si era ormai arrivati alla mono-coltura dell'anacardo (un frutto tropicale proveniente dall'Amazzonia) soppiantando tutte le colture tradizionali e causando un forte aumento di casi di alcolismo per l'abuso di vino di anacardo: ora negli orti si è ripartiti dal recupero di piante tradizionali come il riso de pilau e il peperoncino malagueta. In Kenya vari scontri etnici e l'abbandono delle tecniche tradizionali agricole a favore di quelle moderne per le mono-colture hanno causato una forte migrazione verso le città, con notevoli problemi per le città stesse: ora gli orti puntano al recupero di piante antiche come la zucca di Lare e l'ortica.
Ed ora sono pronti i progetti per i nuovi orti: 50 in Senegal, 30 in Marocco, 20 nel Mali, 10 in Congo, 20 in Egitto, 200 in Kenya, 20 in Etiopia, 2 nel Madagascar, 30 in Mozambico, 20 in Tanzania, 200 nel Sud Africa, 50 in Uganda, 50 in Costa d'Avorio, 30 in Sierra Leone e 100 in Guinea Bissau. Ne ha dedicato un articolo anche il quotidiano la Repubblica venerdì 24 settembre 2010 (articolo di Antonio Cianciullo).
Quindi senza ombra di dubbio quello degli ORTI in Africa è davvero un bel progetto, per salvaguardare il territorio e per combattere la fame delle popolazioni locali, visto che gli Stati africani finora non ci hanno pensato badando solo alle multinazionali (e ai loro soldi che però non veenivano investiti per le popolazioni...). Gli orti punteranno su colture diversificate (ortaggi, frutta ed erbe varie), utilizzando solo sementi locali (quindi autoprodotte in loco), utilizzando fertilizzanti con compost naturale (e quindi senza prodotti chimici) e applicando tecniche di difesa naturali del terreno (come le rotazioni delle colture e le consociazioni). In pratica quello che dovrebbe essere fatto nell'agricoltura di tutto il mondo...
Durante il forum si è parlato anche degli ORTI che salveranno l'Africa: si tratti di veri e propri orti da coltivare nelle periferie delle città per salvare i disperati dalla malavita e da coltivare nelle zone agricole ormai ridotte a mono-coltura per soddisfare l'export e non il fabbisogno alimenate locale (e ce ne sarebbe molto...). Dice Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food: "La pressione delle multinazionali, delle monocolture finalizzate all'esportazione, dei pesticidi, dell'urbanizzazione, dell'avanzata del deserto, ha stravolto equilibri secolari. Nelle bidonville in crescita violenta si è persa la memoria dei saperi alimentari che consentivano di sopravvivere anche in condizioni molto difficili e i prodotti della tradizione sono stati sostituiti dal fast food".
Ecco perchè è nata l'idea di questi orti, in cui recuperare i prodotti locali e soddisfare pertanto l'esigenza alimentare di quei popoli. Già ne sono stati istituiti 150 in 20 paesi africani, ma l'obiettio è di arrivare almeno a 1.000 entro la fine del 2011, anche se i problemi certo non mancano. Alcuni esempi di orti già fatti? In Senegal, dove fino a pochi anni fa il 95% del riso coltivato proveniva dal Sud-Est Asiatico e le colture tradizionali erano ormai la minima parte, oggi grazie al progetto "Mangeons local" (nato nel 2008 e sostenuto dalla Regione Piemonte) si è creata una rete di consumo basata sul fonio (un cereale locale), sul miglio e sul sorgo, che verranno coltivati in questo orti garantendo quindi la coltivazione di prodotti locali che andranno a sostenere l'alimentazione locale e non le multinazionali. In Costa d'Avorio, dove i conflitti interni hanno ostacolato sempre di più la circolazione delle merci e la produzione agricola, gli orti hanno come obiettivo il recupero di alcuni prodotti locali come il sumbalà, un composto che aumenta la sapidità dei cibi che era andato in disuso dopo una incredibile campagna pubblicitaria a favore del dado da brodo... In Guinea Bissau si era ormai arrivati alla mono-coltura dell'anacardo (un frutto tropicale proveniente dall'Amazzonia) soppiantando tutte le colture tradizionali e causando un forte aumento di casi di alcolismo per l'abuso di vino di anacardo: ora negli orti si è ripartiti dal recupero di piante tradizionali come il riso de pilau e il peperoncino malagueta. In Kenya vari scontri etnici e l'abbandono delle tecniche tradizionali agricole a favore di quelle moderne per le mono-colture hanno causato una forte migrazione verso le città, con notevoli problemi per le città stesse: ora gli orti puntano al recupero di piante antiche come la zucca di Lare e l'ortica.
Ed ora sono pronti i progetti per i nuovi orti: 50 in Senegal, 30 in Marocco, 20 nel Mali, 10 in Congo, 20 in Egitto, 200 in Kenya, 20 in Etiopia, 2 nel Madagascar, 30 in Mozambico, 20 in Tanzania, 200 nel Sud Africa, 50 in Uganda, 50 in Costa d'Avorio, 30 in Sierra Leone e 100 in Guinea Bissau. Ne ha dedicato un articolo anche il quotidiano la Repubblica venerdì 24 settembre 2010 (articolo di Antonio Cianciullo).
Quindi senza ombra di dubbio quello degli ORTI in Africa è davvero un bel progetto, per salvaguardare il territorio e per combattere la fame delle popolazioni locali, visto che gli Stati africani finora non ci hanno pensato badando solo alle multinazionali (e ai loro soldi che però non veenivano investiti per le popolazioni...). Gli orti punteranno su colture diversificate (ortaggi, frutta ed erbe varie), utilizzando solo sementi locali (quindi autoprodotte in loco), utilizzando fertilizzanti con compost naturale (e quindi senza prodotti chimici) e applicando tecniche di difesa naturali del terreno (come le rotazioni delle colture e le consociazioni). In pratica quello che dovrebbe essere fatto nell'agricoltura di tutto il mondo...
scritto da
Unknown
alle
3:38 PM
0
commenti
Etichette: Africa, agricoltura, alimentazione, fame nel mondo, salvaguardia territorio, SlowFood, Terra Madre
Iscriviti a:
Post (Atom)