domenica 13 gennaio 2013

ROMA: scoperte le statue di Niobe

Una grande scoperta archeologica è stata fatta recentemente a Roma e ne traggo notizia da un articolo di Laura Larcan sul quotidiano la Repubblica dell'8 gennaio 2013. La scoperta è stata fatta presso la Villa di Marco Valerio Messalla Corvino (generale nella Battaglia di Filippi, console insieme ad Ottaviano e comandante nella Battaglia di Anzio del 31 a.C.): egli propose il titolo di Pater Patriae ad Augusto e creò il famoso Circolo di Messalla frequentato da Ovidio e Tibullo. Gli scavi si trovano nel Comune di Ciampino (Roma), nella tenuta dell'ex Barco dei Colonna sulla via dei Laghi: a far capire agli archeologi che era il complesso della Villa di Messalla sono stati sia i bolli “Valerri Messallae” trovati sulle tubature sia la natatio, ovvero la piscina all'aperto lunga oltre 20 metri con le pareti dipinte di azzurro. Proprio da questa piscina sono affiorate delle straordinarie sculture: 7 statue integre di oltre 2 metri d'altezza, che illustrano il mito di Niobe e dei Niobidi, che dovevano ornare i quattro lati della piscina e un basamento in peperino al centro della vasca, che sono rimaste interrate per secoli, crollate sul fondo della vasca in seguito ad un forte terremoto del II secolo. Ma chi era Niobe? Fonte wikipedia: "Niobe è un personaggio della mitologia greca, figlia di Tantalo e sorella di Pelope. Sposò Anfione, re di Tebe, da cui ebbe sette figli e sette figlie. Ella era così orgogliosa di loro che ardì burlarsi della dea Latona, che aveva avuto solo due figli, i gemelli Apollo e Artemide. Latona allora incaricò i suoi figli di vendicare l'offesa, ed essi, con le loro frecce, Apollo mirando ai fanciulli, e Artemide alle fanciulle, uccisero i figli di Niobe. Gli unici due figli di Niobe a salvarsi furono Cloride e Amicla: secondo altre versioni invece tutti i suoi figli rimasero uccisi. Secondo l'Iliade di Omero i giovani uccisi rimasero insepolti per dieci giorni, finché gli dèi stessi non si occuparono della tumulazione. Secondo quanto narra Ovidio, Niobe, in lacrime, si tramutò in blocco di marmo dal quale scaturì una fonte. In una roccia che si trova sul monte Sipilo in Lidia, presso Magnesia, si è voluta scorgere la Niobe divenuta pietra. Il mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute". Fu proprio il poeta Ovidio, frequentatore della Villa di Messalla, parlare del mito di Niobe nelle sue “Metamorfosi” (poema epico di Publio Ovidio Nasone, 43 a.C.-18 d.C., incentrato sul fenomeno della metamorfosi. Attraverso l'opera, ultimata poco prima dell'esilio dell'8 d.C., Ovidio ha reso celebri e trasmesso ai posteri numerosissimi storie e racconti mitologici dell'antichità greca e romana. L'opera, composta da circa 12.500 versi, può essere considerata uno dei più imponenti e importanti componimenti epici della letteratura latina. Nel poema, Ovidio raccoglie e rielabora più di 250 miti greci: la narrazione copre un arco temporale che inizia con il Caos, che è lo stato primordiale di esistenza da cui emersero gli dei, e che culmina con la morte di Gaio Giulio Cesare e il suo catasterismo): se ne parla nel libro VI (http://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/sesto.htm). Ne parla anche Omero nell'Iliade (http://www.miti3000.it/mito/biblio/omero/iliade/ventiquattresimo.htm). Si tratta di una scoperta archeologica eccezionale, “una di quelle scoperte che capita una sola volta nella vita di un archeologo” come dice Aurelia Lupi, guida (sotto la direzione scientifica di Alessandro Betori) dell'equipe della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio. Dice Elena Calandra, soprintendente: “Queste statue entreranno nei manuali di storia dell'arte classica”. Mentre il giornalista Maurizio Bettini scrive sul quotidiano la Repubblica: “La scoperta potrà gettare nuova luce sul rapporto fra le arti figurative e la poesia romana. Quella di Ovidio in particolare. Messala infatti aveva raccolto attorno a sé un gruppo di poeti, Tibullo, Sulpica, Ligdamo; ma sembra che dopo la morte di Mecenate, anche Lucio Valgio Rufo, Emilio Macro e in particolare Ovidio (che fu amico del figlio di Messalla) si fossero uniti al suo circolo”.
Concludo con la frase con cui ha concluso il suo articolo la giornalista Larcan: “Ora servono risorse per restaurare e valorizzare le opere”. E qui sorge il problema, perchè sappiamo purtroppo come lo Stato italiano continui (irresponsabilmente) a non puntare sulla cultura...

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