La Convenzione sulla Biodiversità, elaborata a Rio De Janeiro nel 1992:
- afferma il valore intrinseco della diversità biologica;
- riconosce che l'esigenza principale per la conservazione della varietà naturale consiste nella salvaguardia "in situ" degli habitat e degli ecosistemi;
- richiama l'attenzione sui danni derivanti dalla perdita di biodiversità, danni culturali, scientifici, economici ed ecologici.
Domenica 11 novembre 2007 si è concluso a Puebla (Messico) il 5° Congresso Slow Food per un'alimentazione sana in nome della sicurezza alimentare e della biodiversità: vi hanno partecipato 49 delegazioni mondiali, tra cui l'indiana Navdanya il cui fondatore Maya Yani ha giustamente dichiarato che "la biodiversità selvatica è essenziale a preservare il patrimonio genetico del pianeta. Ma la biodiversità, come dire, domestica, il patrimonio storico dell'agricoltura mondiale è altrettanto importante e, forse, preservarla anche più urgente". Infatti, in oltre 10.000 anni di agricoltura l'uomo ha saputo trovare le colture giuste per ogni tipo di clima e di terreno: ora l'agricoltura industriale sta cancellando (assieme a condizioni climatiche sempre più avverse) molte di queste colture tradizionali. Ad esempio, quando c'è stato il violentissimo tsunami nel sud-est asiatico, il mare ritirandosi ha riempito di sale le risaie delle coste mediridionali dell'India, rendendo impossibili i raccolti: tuttavia, esiste una qualità di riso, (selezionata e conservata nel tempo dagli abitanti del luogo) che resiste al sale e ciò ha permesso alla continuazione della coltivazione delle risaie. Questo significa BIODIVERSITA': avere un "archivio" di piante in grado di garantire la continuità e poter sostituire in qualsiasi momento una coltura in difficoltà, al fine di prevenire eventuali problemi (come carestie) alla popolazione. Il problema rimane oggi l'agricoltura industriale: frumento e riso hanno sconfitto la fame in alcune aree del mondo, ma sono diventate ormai delle "mono-colture" in molti stati: nel Bangladesh coprono ben il 96% della terra coltivabile, nelle Filippine il 90%!!! L'uniformità genetica può essere disastrosa, perchè significa che nessuna pianta è più in grado di resistere ad una singola malattia o ad un improvviso cambiamento climatico: è un pericolo che si sta già materializzando in alcuni paesi, come in Cina (dove nel 1949 si coltivavano oltre 10.000 varietà di riso scese a solo 1.000 nel 1970!!), in Messico (i 4/5 delle varietà di mais coltivate nel 1930 sono scomparse) e negli USA (perso il 95% delle varietà di cavoli e il 94% di quelle di piselli). Nel corso del 1900 sono andate perdute finora ben 250.000 varietà vegetali: l'Europa ha perso l'80% delle proprie varietà agricole e gli USA il 93%!! Oggi appena 30 tipi di piante nutrono il 95% della popolazione mondiale, mentre il restante 5% della popolazione (i più poveri ed emarginati) si nutre di migliaia di piante e ,proprio perchè poveri, hanno sviluppato tecniche e semi capaci di produrre in situazioni difficili e precarie: in pratica stanno dando insegnamenti al mondo sviluppato!!! Il poblema è che, se per motivi legati al clima, al territorio o alle malattie cominciano a scomparire quelle 30 colture basilari dell'alimentazione mondiale, la maggior parte dei paesi non ha "piante surrogate" in grado di sostituire quelle attuali in quanto negli anni non si è pensato di preservare le migliaia di varietà che la natura ci aveva donato. A tal proposito due anni fa l'ONU ha istituito le "banche dei semi", al fine di conservare un certo numero di piante in grado di diversificare le colture in caso di necessità (carestia, cambiamento climatico, malattie delle piante, ecc...): solo con la BIODIVERSITA', e non con OGM/colture transgeniche, si riuscirà a garantire la sicurezza di derrate alimentari alla popolazione mondiale, sempre più condizionata da un'agricoltura di scala industriale.
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