“LA PAZIENZA DEL GIARDINIERE”
Pejrone dice che il bravo giardiniere non ha fretta, non sparge veleni, predilige i concimi naturali, sperimenta, sbaglia, si incaponisce e, alla fine, vince la partita. Che senso ha far arrivare i prati verdi fin sulla riva del mare? E perché ostinarsi a volere un prato all’inglese, quando da noi il prato è diverso, fiorito, misto anche di malerbe? E se d’estate il prato un po’ si secca, il giardiniere non si affanna troppo: innaffiare va bene, ma senza esagerare. Alle prime piogge il secco andrà via e sarà un ristoro per gli occhi. E, infatti, Pejrone nel suo libro afferma che con la natura bisogna allearsi e non cercare di dominarla brutalmente sfruttando le tecnologie.
Il libro è in parte dedicato a brevi ma particolari descrizioni di alcuni tipi di piante ed anche su alcuni meravigliosi ed importanti giardini, e in parte dedicato alla distinzione di verde privato e verde pubblico. Se il privato può fare ciò che vuole del proprio giardino (anche se ci sarebbe comunque qualcosa da dire su parecchi giardini privati…), diverso è il discorso per il verde pubblico: e su quest’ultimo punto lo scrittore esprime tutto il suo dolore e la sua malinconia per come viene trattato il verde pubblico. Basta pensare alle rotonde stradali, che appena vengono inaugurate sono al loro interno piene zeppe di ogni tipo di pianta e col passare del tempo lasciate in balia del degrado! Ha perfettamente ragione quando dice che qui il Pubblico fallisce: certi sindaci confondono gli alberi con i pali.
Sono dello stesso avviso di Pejrone: io personalmente più volte ho fatto segnalazioni ad alcuni sindaci della zona dove abito (bassa pianura Veronese) per denunciare lo stato in cui versava il verde pubblico in generale o alcune porzioni di esso: aiuole invase da erbacce alte fino ad un metro (nascondendo le stesse piante delle aiuole!) che venivano tolte ogni 6 mesi (!), l’erba lungo le strade tagliata se tutto va bene una volta l’anno, foglie autunnali depositate per terra e raccolte solo quando si sono formati veri e propri mucchi, piante all’interno delle stesse aiuole che non c’entrano niente tra loro. In un paesino della mia zona, posto ai piedi dei Monti Berici (dunque con vegetazione a bosco tipica della bassa collina), è stata realizzata una rotatoria stradale al cui interno sono state piantate esclusivamente palme e piante del sud Italia: inguardabile!!! È come se in una rotatoria di una provincia siciliana fossero piantate robinie, abeti o pioppi!!! Sinceramente, preferisco anch’io le piante della aree geografiche italiane meridionali, ma è giusto conservare la vegetazione tipica del luogo! Potrei farvi altri esempio della mia zona: le rive del fiume Fratta (che costeggia il mio paese, Bevilacqua) diventate una foresta impenetrabile di piante, proprio all’ingresso della città; o ancora, una riserva naturalistica a pochi passi da casa mia lasciata ormai al suo degrado, tra l’altro piena di rifiuti; o semplicemente penso alle famose aree verdi che vengono ricavate nelle nuove lottizzazioni residenziali e produttive (perché imposto per legge, altrimenti…) che diventano dei veri e propri campi ingoiati dalle erbacce e privi di piante. Davvero desolante: pensare che dovrebbero essere punti di ritrovo per le persone…
Non capisco pertanto come mai questo benedetto verde pubblico sia così maltrattato: più sindaci mi hanno risposto che succede per la mancanza di fondi, poi magari scopri certe spese pubbliche talmente inutili che fanno rabbrividire. Un verde pubblico curato è comunque sempre un bel biglietto da visita per coloro che entrano in città: provate ad andare in un qualsiasi paesino svizzero, non troverete mai l’erba alta lungo le strade!!! Questione di cultura, purtroppo… Condivido pienamente quanto commenta Pejrone: “Così va l’Italia verde, piena di buone intenzioni e ignorante fino a toccare il fondo”. Poche parole ma che descrivono alla perfezione questo lato ambiguo del nostro paese. Se tutti avessero un po’ di cultura naturalistica…
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