Visualizzazione post con etichetta verde pubblico. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta verde pubblico. Mostra tutti i post

martedì 10 maggio 2011

CITTA': ecco i GIARDINI CONDIVISI

Si stanno diffondendo anche in molte città italiane i cosiddetti GIARDINI CONDIVISI, gestiti da associazioni di quartiere nate proprio per questo oppure già esistenti, che cercano di valorizzare il verde cittadino e la partecipazione della popolazione: in questi giardini la gente può trovare degli spazi verdi in cui passare il proprio tempo libero, per incontrare altra gente facendo comunità, per svolgere attività culturali ed ecologiche, ecc... Possono nascere all'interno di parchi pubblici oppure in aree urbane residenziali abbandonate, o ancora in cortili interni o in spazi verdi degradati.
Spesso vengono creati in questi giardini degli spazi recintati dedicati ai giochi dei bambini, si creano orticelli coltivati dai genitori, il verde viene mantenuto dai volontari che magari si ripagano aprendo in questi giardini dei piccoli chioschi che vendono gelati e bibite, si organizzano pranzi all'aperto, qualche cena durante l'estate: insomma un vero e proprio rilassante e salutare punto d'incontro della comunità.
Ne ha dedicato un articolo Elisa Palagi sulla rivista mensile “La nuova ecologia” di marzo 2011 (articolo intitolato “La carica dei giardini condivisi: in città germoglia il benessere”, http://www.lanuovaecologia.it).
A Roma ce ne sono già parecchi, sorti in modo spontaneo: Flavia Montini di Filoverde (http://filoverde.blogspot.com/) associazione che si propone come intermediaria tra cittadini ed istituzioni per favorire la creazione dei giardini condivisi a Roma) vorrebbe metterli tutti in rete, in modo che le esperienze esistenti possano potenziarsi e nascerne così di nuove. Si può anche consultare una mappa (realizzata e resa accessibile on line dallo studio di architettura Uap, http://www.studiouap.it) nella quale si può constatare la diffusione sul territorio dei giardini condivisi e la diversificazione delle modalità di lavoro e degli scopi.
I giardini condivisi si sono diffusi in Europa molto tempo prima che in Italia, addirittura con l'industrializzazione dell'Ottocento quando erano stati creati come luoghi comunitari degli operai perché potessero affrontare una vita meno deprimente, fatta di relazioni tra vicini e attività all'aria aperta. Durante le due grandi guerre mondiali si erano addirittura coltivati piccoli lotti di terra nelle città per il sostentamento alimentare. Poi però se ne perse l'interesse. Ritornarono in auge negli anni '70 negli USA e negli anni '90 in Europa, soprattutto in Francia (proprio in questo paese è presente dal 1997 “Il giardino in tutti i suoi stati”, ovvero un'organizzazione di coordinamento di tutte le forme di giardinaggio collettivo, nata dal forum di Lille “Giardinaggio e cittadinanza” che rispondenva all'interesse dei cittadini verso la sostenibilità ambientale). Addirittura nel 2003 il Comune di Parigi ha adottato la Charte main verte (Carta pollice verde) in base alla quale i cittadini, costituendo un'associazione, possono prendere in gestione uno spazio della città rispettando precise regole.
Interessante anche l'associazione guerrilla gardening (http://www.guerrillagardening.it/), nata a Roma nel marzo 2010, che periodicamente (l'ultima domenica del mese) cerca di radunare più persone possibili che poi si spostano per la città per piantare fiori e alberi per renderla più verde, operando in pieno giorno e legittimati non da permessi regolari ma dalla comunità.
Il verde e la vivibilità è quindi (anche) nelle nostre mani: laddove non riesce l'Amministrazione comunale, lo possiamo fare noi. Volontari e appassionati di verde, riunitevi: costituite delle associazioni, dei comitati o dei gruppi e curate le aree verdi della vostra città o addirittura fate rivivere angoli degradati, create delle iniziative originali per coinvolgere la popolazione. Solo così possiamo rendere (un po') più vivibili le nostre città.

giovedì 10 marzo 2011

SALVIAMO GLI OLEANDRI

Ho trovato un bel articolo sulla rivista mensile "Ville Giardini", nel numero di marzo 2011: l'articolo si intitola appunto "Salviamo gli oleandri" ed è stato scritto da Paolo Pejrone nella sua rubrica "Il giardino delle ortiche".
L'articolo è dedicato allo scempio della distruzione delle siepi di oleandri che dividono le due corsie dell'autostrada A12, che unisce la Lunigiana a Livorno: io stesso sono rimasto colpito più di qualche volta dalla bellezza di queste siepi di oleandri lungo questa ma anche altre autostrade italiane, come in Liguria o in alcune regioni meridionali. Olenadri: alberi sempreverdi, rigogliosi, folti e, soprattutto, di un'eleganza incredibile durante il periodo di fioritura, tanto da considerare queste siepi lungo le autostrade ormai parte integrante del paesaggio. Dice Pejrone: "Spesso mi sono chiesto se l'allegria di quella colorata, lunga e robusta siepe fosse dovuta anche al semplice miscuglio di vari colori. Credo proprio di sì. La varietà e l'improvvisazione non sono forse uno dei caratteri unificanti dell'Italia? Del resto l'auspicato monocolore o gruppi di monocolori sarebbero stati elegantissimi, ma certamente meno mediterranei, meno italici". Ha senza ombra di dubbio ragione: percorrere una monotona (questa sì!!) autostrada e vedere siepi infinite di oleandri fioriti (di colore giallo, bianco, rosa, bordeaux) è qualcosa di incredibile per gratificare il proprio viaggio.
Ma ahimè, come succede sempre più spesso in Italia, in quel tratto di autostrada tali siepi di oleandro sono state drasticamente tagliate, come dice Pejrone "quasi fossero stati giustiziati in fila, dopo tanti anni di fiduciosa e generosa compagnia". Si chiede Pejrone il motivo per cui questi olenadri sono stati tagliati, e perchè sono stati considerati così dannosi e così brutti. Non se ne capisce il motivo (e non ci dicano perchè le foglie sono velenose!!!): si tratta di piante che hanno bisogno solo di qualche potatura ogni tanto, resistono alla siccità e all'eccesso di pioggia, non producono scarti (sono sempreverdi), non necessitano di concimazioni. Una pianta resistentissima: certo, non tollera il gelo potente, ma dove sono stati piantati il gelo potente non è (quasi) mai arrivato. Non ci dicano neanche che lo hanno fatto per risparmiare soldi di manutenzione! E cosa hanno messo al posto degli oleandri? Non altre piante, ma un'alta parete in ferro zincato, a volte sostituita da un muretto in metallo!
Purtroppo questa è la fotografia di cosa l'Italia pensa del verde pubblico e del paesaggio: sono, ahimè, pochissime le persone che amano veramente la natura, il paesaggio, il verde, le piante. E' vero, ci sono tantissimi appassionati di giardinaggio: ma evidentemente non nelle società e tra coloro che hanno nelle loro mani la gestione del (nostro) paesaggio.
Per questo condivido perfettamente quanto dice Pejrone nella parte terminale del suo articolo: "Molto probabilmente in Italia sono sempre pochissimi ad amare le piante, il verde, la natura. Soprattutto in pochi lo dimostrano e lo testimoniano con affetto, comprensione e con tutto quel bagaglio che il vero amore comporta: rinunce, attesa, pazienza. L'affetto, si sà, ha un suo prezzo". Confidiamo pertanto in scelte future migliori da parte dei gestori del paesaggio e, in questo caso, da parte delle società che gestiscono le autostrade italiane. VOGLIAMO MANTENERE LE PIANTE TRA LE DUE CORSIE DI TUTTE LE AUTOSTRADE (ALMENO DOVE SONO ANCORA PRESENTI...).

venerdì 6 novembre 2009

ALBERI IN CITTA’: se non curati sono un pericolo!

Quante volte è stato detto che gli alberi sono assolutamente necessari nelle nostre città: però, come succede per il verde pubblico in generale, molto spesso quelli presenti sono talmente poco curati che rischiano addirittura di diventare un pericolo per i cittadini.
Pensate, ce sono un milione nelle nostre città, dei quali 30.000 a Palermo, 40.000 a Napoli, 170.000 a Torino, 180.000 a Milano e 340.000 a Roma (nelle città del Nord Italia si tratta generalmente di latifoglie, platani, ippocastani e tigli, mentre in quelle del Centro-Sud si tratta di conifere, querce e palme): per valutare lo stato di un albero esiste una apposita scala chiamata Vta, che è un criterio di valutazione internazionale che prevede quattro classi, ovvero A (albero che non presenta alcun problema), B (albero che ha piccoli problemi di salute che però non ne intaccano la stabilità), C (albero non stabile che va valutato una volta l’anno) e D (albero da abbattere). Ebbene, ogni anno circa 10.000 alberi ricadono nella categoria D e devono quindi essere abbattuti in quanto pericolosi.
Al tema ha dedicato un articolo Paolo Griseri sul quotidiano la Repubblica del 14 ottobre scorso, il quale ha intervistato Mario Palenzona (direttore dell’IPLA, l’Istituto per le Piante da Legno, http://www.ipla.org), secondo il quale: “In questo come in altri campi la sicurezza assoluta non esiste. Gli alberi resistono a particolari condizioni: se arriva una bufera che non si è mai verificata in duecento anni, possono cadere platani secolari. È un rischio con cui in qualche modo dobbiamo convivere. Invece, si usano troppo spesso le motoseghe per evitare guai giudiziari”. Invece che prevenire, si abbatte… È stato intervistato anche Antimo Palumbo, dell’associazione “Adea - Amici DEgli Alberi”, secondo il quale: “Il traffico, come i lavori di asfaltatura, rovinano spesso le radici e anche una ferita leggera può finire, col tempo, per compromettere la stabilità di una pianta”.
E qui siamo al punto: come mai questi alberi cittadini diventano instabili? Raramente per colpa loro: certo, può intervenire qualche malattia che li consuma, ma il più delle volte le colpe sono dell’uomo, colpe che possono essere riassunte così:
  • l’incuria da parte delle amministrazioni cittadine che spesso sottovalutano le malattie della pianta (che spesso portano al marcamento dei rami e/o del tronco facendolo crollare);
  • le potature spregiudicate (le cosiddette “capitozzature”), che vengono fatte solo per avere meno foglie da raccogliere…, che spesso indeboliscono la pianta per due motivi: espongono il tronco libero a funghi che lo divorano dall’interno, e poi sottopongono la pianta a maggior rischio caduta in caso di forte vento (infatti, in caso di forte potatura, l’albero emette molte foglie ma ha pochi rami in grado di fare peso e spezzare il vento, così le foglie fanno da vela);
  • il traffico, in quanto estirpare le radici superficiali, per asfaltare o per fare scavi, contribuisce a compromettere la stabilità degli alberi in quanto gli stessi alberi difficilmente hanno radici in profondità.
Ottima l’osservazione in merito del meteorologo Luca Mercalli: è una questione di scegliere correttamente le specie vegetali e di curarne la manutenzione. I vantaggi sarebbero non solo estetici (in quanto il verde riposa) ma soprattutto fisici (gli alberi infatti contribuiscono a mitigare gli eccessi termici estivi delle città, in quanto la loro evapotraspirazione abbassa la temperatura di qualche grado ed il loro ombreggiamento espone meno superficie alla radiazione solare, contribuendo ad un risparmio energetico con il conseguente minor utilizzo dei condizionatori). Da non sottovalutare inoltre quanta CO2 assorbe una pianta contribuendo alla lotta all’inquinamento e il fatto che le chiome degli alberi ospitano molti uccelli che divorano zanzare ed altri insetti fastidiosi.
Quindi, i vantaggi che gli alberi comportano nelle città sono molteplici: purtroppo nella loro (scarsa) manutenzione si pensa quasi sempre al lato economico (più si taglia minore sarà la manutenzione da fare…) senza valutare attentamente i vantaggi che gli stessi alberi portano alla vita delle città. E quando ci scappa il morto (per caduta di un ramo che causa un incidente stradale) non si pensi subito a segare le piante, pensiamo piuttosto a quante vittime ci sono ogni anno nelle nostre città per malattie respiratorie causate dall’inquinamento cittadino (che proprio un maggior numero di piante renderebbe meno grave): ma queste sono le cosiddette “morte invisibili” che non colpiscono l’opinione pubblica semplicemente perché quest’ultima non viene, purtroppo, informata in merito…

“LA PAZIENZA DEL GIARDINIERE”

È uscito per Einaudi il libro intitolato “La pazienza del giardiniere – Storie di ordinari disordini e variopinte strategie” di Paolo Pejrone (198 pagine al costo di € 16), al quale ha dedicato un articolo anche Paolo Mauri sul quotidiano la Repubblica del 3 novembre scorso. Un libro molto interessante, nel quale lo scrittore invita il lettore a riprendere un contatto con la natura, un contatto che negli anni è venuto sempre meno.
Pejrone dice che il bravo giardiniere non ha fretta, non sparge veleni, predilige i concimi naturali, sperimenta, sbaglia, si incaponisce e, alla fine, vince la partita. Che senso ha far arrivare i prati verdi fin sulla riva del mare? E perché ostinarsi a volere un prato all’inglese, quando da noi il prato è diverso, fiorito, misto anche di malerbe? E se d’estate il prato un po’ si secca, il giardiniere non si affanna troppo: innaffiare va bene, ma senza esagerare. Alle prime piogge il secco andrà via e sarà un ristoro per gli occhi. E, infatti, Pejrone nel suo libro afferma che con la natura bisogna allearsi e non cercare di dominarla brutalmente sfruttando le tecnologie.
Il libro è in parte dedicato a brevi ma particolari descrizioni di alcuni tipi di piante ed anche su alcuni meravigliosi ed importanti giardini, e in parte dedicato alla distinzione di verde privato e verde pubblico. Se il privato può fare ciò che vuole del proprio giardino (anche se ci sarebbe comunque qualcosa da dire su parecchi giardini privati…), diverso è il discorso per il verde pubblico: e su quest’ultimo punto lo scrittore esprime tutto il suo dolore e la sua malinconia per come viene trattato il verde pubblico. Basta pensare alle rotonde stradali, che appena vengono inaugurate sono al loro interno piene zeppe di ogni tipo di pianta e col passare del tempo lasciate in balia del degrado! Ha perfettamente ragione quando dice che qui il Pubblico fallisce: certi sindaci confondono gli alberi con i pali.
Sono dello stesso avviso di Pejrone: io personalmente più volte ho fatto segnalazioni ad alcuni sindaci della zona dove abito (bassa pianura Veronese) per denunciare lo stato in cui versava il verde pubblico in generale o alcune porzioni di esso: aiuole invase da erbacce alte fino ad un metro (nascondendo le stesse piante delle aiuole!) che venivano tolte ogni 6 mesi (!), l’erba lungo le strade tagliata se tutto va bene una volta l’anno, foglie autunnali depositate per terra e raccolte solo quando si sono formati veri e propri mucchi, piante all’interno delle stesse aiuole che non c’entrano niente tra loro. In un paesino della mia zona, posto ai piedi dei Monti Berici (dunque con vegetazione a bosco tipica della bassa collina), è stata realizzata una rotatoria stradale al cui interno sono state piantate esclusivamente palme e piante del sud Italia: inguardabile!!! È come se in una rotatoria di una provincia siciliana fossero piantate robinie, abeti o pioppi!!! Sinceramente, preferisco anch’io le piante della aree geografiche italiane meridionali, ma è giusto conservare la vegetazione tipica del luogo! Potrei farvi altri esempio della mia zona: le rive del fiume Fratta (che costeggia il mio paese, Bevilacqua) diventate una foresta impenetrabile di piante, proprio all’ingresso della città; o ancora, una riserva naturalistica a pochi passi da casa mia lasciata ormai al suo degrado, tra l’altro piena di rifiuti; o semplicemente penso alle famose aree verdi che vengono ricavate nelle nuove lottizzazioni residenziali e produttive (perché imposto per legge, altrimenti…) che diventano dei veri e propri campi ingoiati dalle erbacce e privi di piante. Davvero desolante: pensare che dovrebbero essere punti di ritrovo per le persone…
Non capisco pertanto come mai questo benedetto verde pubblico sia così maltrattato: più sindaci mi hanno risposto che succede per la mancanza di fondi, poi magari scopri certe spese pubbliche talmente inutili che fanno rabbrividire. Un verde pubblico curato è comunque sempre un bel biglietto da visita per coloro che entrano in città: provate ad andare in un qualsiasi paesino svizzero, non troverete mai l’erba alta lungo le strade!!! Questione di cultura, purtroppo… Condivido pienamente quanto commenta Pejrone: “Così va l’Italia verde, piena di buone intenzioni e ignorante fino a toccare il fondo”. Poche parole ma che descrivono alla perfezione questo lato ambiguo del nostro paese. Se tutti avessero un po’ di cultura naturalistica…

giovedì 1 novembre 2007

Verde pubblico italiano: quanta incuria!

In Italia il verde pubblico è negli ultimi anni senza ombra di dubbio aumentato ed in molti casi anche in maniera considerevole (ad esempio Napoli è passata in pochi anni da 700.000 a 3.800.000 metri quadrati di verde pubblico). Sono molte le città italiane con una buona percentuale di verde: in base al verde urbano fruibile pro capite (ovvero mq/abitante) in testa c'è Lucca con 42,58 mq/abitante, poi Rimini (37,86), Rovigo (34,13), Massa (32,13), Pordenone (31,88), Modena (31,70), Prato (31,42), Venezia (29,83), Firenze (29,31) e Cuneo (27,25). Tra le ultime dieci posizioni troviano Foggia (1,53), Trieste (1,36), Crotone (1,31), Siracusa (1,18), Sassari (1,11), Caltanniseta (0,71), Trapani (0,71), Taranto (0,70), Catanzaro (0,48) e Messina (appena 0,40 mq/abitante!). Purtroppo però a questa realtà "quantitativa" non corrispone una realtà "qualitativa": molto spesso le aree verdi pubbliche sono lasciate all'incuria, un pò per menefreghismo, un pò per mancanza di fondi... fatto sta che in termini di qualità gli altri paesi europei (in primis Francia, Germania e paesi del Nord) sono alla lunga superiori all'Italia! La situazione è emersa nei giorni scorsi nel corso della riunione annuale dell'AIDTPG (Associazione Italiana Direttori e Tecnici di Pubblici Giardini), tenutasi a Pesaro: in pratica, a livello nazionale la quantità di verde pubblico aumenta, la qualità invece scende! Purtroppo in molti comuni italiani le spese per la gestione ordinaria (tra cui il verde pubblico) vengono regolarmente considerate una voce sulla quale risparmiare..., come sostiene Giampaolo Barbariol, presidente dell'AIDTPG. Se a ciò aggiungiamo l'incuria degli automobilisti, gli scavi stradali, il vandalismo, alcune epidemie (che prima hanno colpito olmi, cipressi e platani ed ora colpiscono palme ed ippocastani) e la siccità (che spinge a tagliare l'irrigazione), beh allora il quadro non è per niente confortante! Per far capire come sia la realtà europea, città come Barcellona e Lione spendono ogni anno circa 4,5 euro ogni metro quadrato per la manutenzione del verde pubblico: tale spesa scende a 1,50 euro a Roma, a 1,20 euro a Milano e ad appena 0,70 euro a Torino! Qualcosa non va: ora speriamo nei fondi stanziati dalla Finanziaria 2008, la quale prevede la creazione di un Fondo per nuovi parchi urbani con 150 milioni di euro in 3 anni, 1.000 nuove aree verdi nelle città e l'obiettivo di impiantare 6-8 milioni di nuovi alberi ed arbusti. Bene, ma il problema rimane sempre quello: manca la manutenzione del verde pubblico, che in certi casi paradossalmente si trasforma in una zona di degrado per la città! Se poi qualcuno sospende anche l'educazione ambientale nelle scuole (come già è successo), beh allora c'è poco da stare allegri per il futuro...