lunedì 7 giugno 2010

ECOMAFIA in Veneto: sempre peggio!

In questi giorni Legambiente Veneto (http://www.legambienteveneto.it) ha diffuso un comunicato stampa intitolato "ECOMAFIA 2010. L’UNICO BUSINESS IMMUNE ALLA CRISI: BILANCI SEMPRE POSITIVI E AMPLIAMENTO DEI FLUSSI SULLE ROTTE GLOBALI - RIFIUTI E CEMENTO I SETTORI AL TOP - CRESCONO I REATI NEL VENETO IN MATERIA DI RIFIUTI E IL RISCHIO RICICLAGGIO DI DENARO SPORCO NELLE GRANDI OPERE". In quanto io residente nel territorio veneto, Vi riporto integralmente l'allarmante comunicato stampa.

Aumentano gli arresti (+ 43%, da 221 nel 2008 agli attuali 316) e gli illeciti accertati (28.576 oggi, 25.776 lo scorso anno) pari a 78 reati al giorno, cioè più di 3 l’ora. Aumentano del 33,4% le persone denunciate (da 21.336 a 28.472) e dell’11% i sequestri effettuati (da 9.676 a 10.737). Nello specifico, si registra una decisa impennata di infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti (da 3.911 nel 2008 a 5.217 nel 2009), e un leggero calo nel ciclo del cemento (da 7.499 a 7.463), crescono i reati contro la fauna (+58% ) e i diversi reati contro l’ambiente marino e costiero. Stabile l’immenso giro d’affari, anche quest’anno, nonostante l’inasprirsi della crisi economica, pari a 20,5 miliardi di euro.
Nella classifica sull’illegalità ambientale del 2009, il Lazio sale al secondo posto (era al quinto nel 2008), soprattutto per i reati contro il patrimonio faunistico, mentre il suo territorio è sempre più esposto alle infiltrazioni dei clan, in particolare nel Sud pontino, con Latina che si attesta addirittura al terzo posto nella classifica provinciale del ciclo del cemento in Italia. Al primo posto stabile la Campania con 4.874 infrazioni accertate (il 17% sul totale nazionale). Al terzo posto la Calabria , con 2.898 infrazioni seguita dalla Puglia con 2.674 infrazioni. Scende di due posizioni la Sicilia , al quinto posto con 2.520 infrazioni accertate, mentre la Liguria si conferma come lo scorso anno, quale prima regione del Nord Italia con il maggior numero di reati: 1.231. Il Veneto è in 11^ posizione con 777 reati.
Con oltre 20,5 miliardi di euro di fatturato, l’ecomafia si conferma come una holding solida e potente. Eppure, la stima del fatturato globale dell’ecomafia risente quest’anno della mancata pubblicazione del dato sui rifiuti speciali nel Rapporto rifiuti 2010 dell’Ispra. Circostanza che ci impedisce di valutare economicamente la mole di rifiuti industriali spariti nel nulla e che, con ogni probabilità, sono finiti nel giro illegale dei trafficanti di monnezza, trasformandosi in moneta sonante.. Grazie all’abusivismo edilizio, la somma in nero accumulata, si conferma in 2 miliardi. Un dato che rispecchia un andamento sostanzialmente stabile del fenomeno che, se letto alla luce della grave crisi economica in atto e del conseguente calo di costruzioni legali, dimostra tutta la sua gravità. Idem per il racket degli animali che, stando alla stima della Lega antivivisezione (Lav), si conferma di 3 miliardi di euro, tra corse clandestine di cavalli, combattimenti tra cani, traffici di fauna viva esotica o protetta, macellazione clandestina. Gli investimenti a rischio in opere pubbliche e gestione dei rifiuti urbani nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa anche nel 2009 superano i 7 miliardi e mezzo di euro. Manca all’appello il dato relativo ai furti e sui traffici di opere d’arte e reperti archeologici, il cui mercato continua a sfuggire a una precisa quantificazione monetaria, ma che genera una cifra d’affari che, per volume è seconda solo al traffico internazionale di stupefacenti.
Nel ciclo dei rifiuti si è registrato un significativo aumento delle infrazioni accertate: 5.217 nel 2009, erano 3.911 nel 2008, con un incremento del 33,4%, ma anche delle denunce (6.249, erano 4.591 l’anno precedente), e degli arresti: 2.429 a fronte dei 2.406 del 2008. La Campania si conferma in testa alla classifica con 810 reati accertati (15,5% del totale nazionale), seguita da Puglia (735 infrazioni), Calabria (386), Sicilia (364) e Toscana (327). Prima regione del Nord è il Piemonte, ottava, con 270 reati. A seguire il Veneto che nel 2009 ha registrato un incremento considerevole di infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti, 243 (erano 164 nel 2008), il 4,7% sul totale nazionale, numero che spinge il Veneto al nono posto nella classifica per reati accertati su scala regionale. Crescono pure le persone denunciate, 314 (erano 242 nel 2008), e soprattutto gli arresti, ben 19, mentre diminuiscono i sequestri che passano da 105 a 70. Passando ai fatti di cronaca, due elementi emergono su tutto: primo, il ruolo da protagonista assunto dal Veneto nei traffici internazionali di rifiuti; secondo, un’impressionante mole di amianto trafficato e gestito nella regione in maniera criminale: una fibra killer che secondo gli ultimi dati dell’Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro) ucciderebbe in Italia circa 4 mila persone ogni anno.
Il porto di Venezia si rivela, dunque, ancora una volta la testa di ponte di traffici illeciti di rifiuti destinati in Estremo Oriente. Il 24 giugno scorso i Carabinieri del Noe di Venezia, coordinati dalla procura di Padova, sono protagonisti dell’operazione “Serenissima”: rifiuti spacciati per materia prima seconda e spediti nella Repubblica popolare cinese. Sostanze tossiche e pericolose per la salute umana fatte circolare con documenti falsi, come fossero normali merci o rifiuti “recuperati”, ossia previamente trattati. Con il risultato di 2 ordinanze di custodia cautelare in carcere, numerosi provvedimenti di obbligo di dimora, sequestri e perquisizioni a carico del titolare e dei dipendenti di un’azienda dedita alla gestione di rifiuti, attiva nelle province di Padova e Rovigo. Le ipotesi di reato contestate ai due arrestati, e ad altre undici persone denunciate, sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e falso documentale. I militari hanno contabilizzato, dall’avvio dell’indagine nel 2005, il trattamento di oltre 230 mila tonnellate di rifiuti tossici che partivano dai porti di Venezia, Genova e Ravenna e destinati alla Cina. Il sospetto degli investigatori è che i rifiuti, per lo più carta e plastica contaminata con inquinanti velenosi di diversa natura, venissero utilizzati per produrre manufatti d’ogni tipo, poi venduti in Italia e Europa. Con evidenti rischi di tossicità per gli ignari futuri consumatori. Una storia già vista diverse volte. Il valore dei beni sequestrati ammonta a 60 milioni di euro, mentre l’illecito volume d’affari è stimato in circa 6 milioni di euro.
Il primo dato da segnalare per il ciclo del cemento è quello relativo al mancato ridimensionamento del fenomeno dell’abusivismo a causa della crisi economica. Secondo le stime Cresme Consulting, se il settore legale delle costruzioni ha vissuto un sostanzioso calo delle abitazioni ultimate (dalle 316mila del 2008 alle 280mila del 2009), la parte illegale ha visto una diminuzione di sole mille abitazioni, passando da 28mila abitazioni abusive del 2008 alle attuali 27mila. Come dire che i tracciati dell’industria delle costruzioni legale e di quella illegale sono ampiamente separati e vivono di vita propria. L’abusivismo organizzato opera in nero in tutta la sua filiera (acquisto materiali, manodopera, utilizzazione del bene ecc.), selezionando le occasioni migliori e a maggior valore aggiunto quali ville costiere, cascine in aree naturalisticamente pregiate, ecc. Nel complesso, 7.463 sono state le infrazioni accertate (erano 7.499 nel 2008), 9.784 le denunce (erano 9.986 nel 2008) e 2.832 sequestri (2.644 nel 2008). Più che triplicato, invece, il numero degli arresti, che raggiunge quota 13 (erano solo 3 nel 2008). Come ogni anno la Campania si conferma al primo posto con 1.179 reati accertati, il 15,8% sul totale nazionale. Al secondo posto la Calabria (con 905 reati, il 12,1% sul totale), al terzo posto il Lazio con 881 reati accertati (l’11,8% sul totale), mentre la prima regione del Nord è la Liguria con 301 infrazioni, il 4% sul totale nazionale.
Nel Veneto che si classifica al 13° posto le infrazioni accertate dalle forze dell’ordine nel 2009 sono 183 (erano 228 nel 2008), che significa il 2% sul totale nazionale. Stesso discorso vale per le persone denunciate, 241 (erano 319 nel 2008), e per i sequestri 44 (erano 79 nel 2008).
Dai numeri alle inchieste sul ciclo illegale del cemento, il 29 ottobre arriva la decisione del giudice per le udienze preliminari della procura di Vicenza, Stefano Furlani, che rinvia a giudizio 54 indagati per presunte gare d’appalto pilotate: 19 accusati di avere promosso e partecipato a un’associazione per delinquere finalizzata alla spartizione degli appalti pubblici per strade e rotatorie; 35 per turbativa d’asta. Viene così confermato l’impianto accusatorio disegnato dal procuratore Salvarani, in base alle risultanze investigative raccolte dalla Guardia di finanza. Accuse imperniate sulla gestione “drogata” di decine di gare pubbliche nel settore viario tra il Vicentino e il Nord-est – tra il 2006 e 2007 –, mediante la formazione dei cosiddetti “cartelli” composti da numerose imprese per concordare i ribassi. L’inchiesta è nata da un’altra indagine denominata “Mala Condicio”, avviata nel marzo 2006 dalla Polizia tributaria di Vicenza e Venezia, cha ha tratto spunto dalla denuncia dell’imprenditore Isnardo Carta. Questi, infatti, aveva segnalato accordi sottobanco tra le stesse imprese per l’assegnazione degli appalti per opere pubbliche in Veneto. Il 10 marzo scorso arrivano dalla procura di Vicenza altri 38 rinvii a giudizio per un secondo filone dell’inchiesta sulle gare pubbliche truccate (la stessa che a ottobre aveva portato al rinvio per 54 persone).
Ancora una volta l’ipotesi di accusa è di associazione per delinquere e turbativa d’asta nei confronti di impresari e dipendenti che avrebbero cercato di pilotare numerose gare pubbliche tra Vicenza e il Nord Italia. La vicenda è stata ribattezzata dai cronisti locali “Appaltopoli 2”. Secondo la procura, gli indagati avrebbero pilotato le aggiudicazioni di appalti nel settore viario con una presunta associazione per delinquere facente capo a due promotori, un impresario di Longare, e al loro addetto all’ufficio gare. La tesi degli avvocati difensori – così come si legge sui giornali locali – è che in base alla teoria dei giochi e alla statistica era molto difficile condizionare l’aggiudicazione delle gare. Addirittura ci sarebbe un calcolo che parla di meno dell’1% delle probabilità considerando il numero delle ditte che partecipavano. Di parere contrario, ovviamente, gli investigatori. Infatti, le intercettazioni telefoniche hanno messo a nudo contatti che secondo la procura sono illeciti perché servivano a concordate le offerte.
Altro capitolo inquietante, quello del calcestruzzo depotenziato. Strade, ponti, viadotti, ferrovie, gallerie, case, centri commerciali e perfino scuole, ospedali e commissariati. Tutti a rischio crollo perché tirati su con cemento di pessima qualità. Un business molto redditizio per i clan che praticamente controllano tutto il ciclo del cemento del Paese e per questo si aggiudicano appalti nazionali e locali per costruire opere pubbliche e private. Dopo le “bolle” false che accompagnano i rifiuti, ecco spuntare un altro documento tra i più utilizzati dalle aziende criminali, le “ricette di produzione” taroccate del calcestruzzo utilizzate per gli aeroporti di Palermo e Trapani, il porto turistico di Balestrate, il lungomare di Mazara del Vallo, l’ormai famoso Ospedale San Giovanni di Dio ad Agrigento e perfino per il Commissariato di Polizia di Catelvetrano (Tp); per il Palazzo di giustizia e la diga foranea di Gela, la piattaforma di emergenza dell’ospedale di Caltanissetta e lo svincolo di Castelbuono dell’autostrada Palermo-Messina. Ma il fenomeno del cemento depotenziato si estende a molte altre regioni: le scuole Maresca di Locri e quella di Tropea in Calabria; il viadotto Fallaco-Corace, nel cavalcavia della nuovissima ferrovia Catanzaro-Lamezia; in Molise per la variante Anas di Venafro, primo lotto della Termoli-San Vittore; nel vicentino nei lotti 9 e 14 dell’autostrada A31 Valdastico e poi per i lavori sull’autostrada A3 . In Campania la camorra impone materiale scadente e rifornisce multinazionali che costruiscono parcheggi e imprese impegnate nella costruzione di case abusive sulla collina di Camaldoli. E purtroppo ci potrebbe essere una brutta storia di calcestruzzo depotenziato anche dietro al crollo della casa dello studente dell’Aquila.
Ma la mafia ha scoperto da tempo un altro modo per fare ottimi guadagni nel ramo del commercio: aprire direttamente i propri negozi, supermarket e grandi centri . Un ottimo metodo per riciclare soldi, ma anche per esercitare il controllo sociale attraverso la gestione degli appalti, delle forniture e dei posti di lavoro. Si tratta di colate di cemento senza limiti su ampie superfici agricole a suon di varianti urbanistiche a favore delle lottizzazioni commerciali. Si fanno così nuove infrastrutture stradali e parcheggi per migliaia di automobili a uso esclusivo del polo commerciale. Svincoli e complanari che si accolla direttamente il comune o che la società costruttrice realizza deducendo i costi dagli oneri di urbanizzazione che, in ogni caso, vengono pagati con denaro pubblico. In aggiunta, spesso i progetti prevedono la realizzazione di volumetrie destinate a servizi di altro genere, come cinema multisala, palestre, grandi negozi monomarca, alberghi, centri benessere e centri conferenze: una manna per chi lavora nel settore edilizio, legale ma anche mafioso. A fine 2008 solo in Sicilia risultavano circa 100 autorizzazioni per nuove strutture commerciali, e se oggi in Italia la partita più grossa è quella che vede al centro Cosa nostra, c’è anche l’interesse della ‘ndrangheta nei poli commerciali calabresi, così come lo storico monopolio del movimento terra e la forte presenza nei cantieri delle grandi opere in Lombardia. E c’è il controllo della camorra sui supermercati della Campania e quello sui negozi della capitale.
“L’azione di contrasto messa in campo dalle Forze dell’ordine – dichiara Michele Bertucco, Presidente di Legambiente Veneto - deve essere sostenuta concretamente dal Governo con la disposizioni di nuovi efficaci strumenti. Introducendo finalmente (entro la fine del 2010) i delitti contro l’ambiente nel Codice Penale e consentendo l’uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali nelle indagini, ma anche mettendo mano alle situazioni di pericolo più grave, quali le aree inquinate da bonificare e gli edifici e le opere pubbliche a rischio calcestruzzo depotenziato da monitorare e mettere subito in sicurezza”.
Beh, che dire di più...

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