domenica 19 maggio 2013

Se la TV pubblica non fa più storia

E' notizia di questi giorni la cancellazione dal prossimo palinsesto RAI della trasmissione “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli: alcuni smentiscono, altri dicono che potrebbe essere trasmessa su altri canali RAI del digitale, altri ancora che resterà su RaiDue ma con un altro conduttore. Il fatto comunque che si metta in discussione la trasmissione o il suo giornalista la dice lunga sulla linea editoriale della ormai ex TV pubblica (che cos'ha ormai di pubblico nella sua funzione?): come si fa a mettere in discussione una delle pochissime trasmissioni che fa cultura (e con successo!!!), in onda da 12 anni, e il cui conduttore Giovanni Minoli nel 2012 si è aggiudicato a New York il premio “HistoryMakers International”, ovvero l'Oscar dei produttori televisivi di storia? Non ci sono parole...
“Se la TV pubblica non fa più storia” è il titolo di un articolo che Giovanni Valentini ha scritto nella sua rubrica "Il sabato del villaggio" sul quotidiano la Repubblica di sabato 18 maggio 2013, dedicato proprio a questo fatto. L'articolo comincia con una frase estrapolata dal libro “Come la penso” di Andrea Camilleri (2013, edito da Chiarelettere, pagg. 220): “La RAI commise l'imperdonabile errore di adeguarsi ai sistemi delle tv private tagliando dal palinsesto i programmi di minore ascolto, come ad esempio la prosa, vale a dire eliminando le trasmissioni più culturalmente impegnative”. É stato davvero un grande errore, e l'eliminazione de “La storia siamo noi” dal prossimo palinsesto RAI ne è la prosecuzione, oltre che la conferma. Ricordiamo che “La storia siamo noi” (http://www.lastoriasiamonoi.rai.it) è un contenitore culturale di approfondimento nel quale in ogni puntata viene trattato un argomento (si è parlato di fatti di economia, di politica, di cronaca, di storia, ecc...), dagli incidenti durante il G8 all'Unione Societica fino alla storia della nostra Repubblica: trasmissione che è stata un proseguo della precedente e altrettanto famosa “Mixer” (sempre condotta da Giovanni Minoli). Scrive Valentini: “La storia è la memoria di un Paese e di un popolo, la sua coscienza collettiva. L'archivio anagrafico della sua identità sociale e culturale. E perciò – quali che siano gli ascolti di questa trasmissione, peraltro più che lusinghieri – un servizio pubblico radiotelevisivo non può venire meno al dovere fondamentale di coltivare, aggiornare e tramandare quella memoria comune, a pena di rinnegare il proprio ruolo e la propria missione”. Concordo con Valentini quando scrive anche che Minoli appartiene alla migliore tradizione del giornalismo televisivo italiano, da Sergio Zavoli ad Andrea Barbato, da Piero Angela a Corrado Augias, da Lilli Gruber a Bianca Berlinguer fino a Milena Gabbanelli.
La RAI, se vuole sopravvivere, deve compiere un salto di qualità sul piano dell'informazione, dell'approfondimento e più in generale di tutta la sua programmazione editoriale: sarebbe educativo per chi la guarda, visto che il suo compito è stato questo quando il popolo italiano era uscito dall'ultima guerra mondiale e vista ancora la grande influenza che ha la TV (nel bene e nel male) sull'evoluzione culturale del popolo italiano. Perchè non imparare da La7? Sta facendo un'ottima programmazione culturale e i risultati (almeno di Auditel) le stanno dando ragione.

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