lunedì 23 settembre 2013

Se la TRAGEDIA DEL VAJONT non ha insegnato nulla...

La strage del Vajont è il disastro occorso il 9 ottobre 1963 nel neo-bacino idroelettrico artificiale del Vajont, dovuto alla caduta di una colossale frana dal soprastante pendio montuoso nelle acque del sottostante e omonimo bacino lacustre alpino, alla conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso con effetto di dilavamento delle sponde del lago, al superamento dell'omonima diga da parte del fronte d'acqua generato fino all'inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui lo sventurato paese di Longarone, da allora tristemente celebre. La storia e gli effetti di tale disastro ormai li conoscono tutti, comunque una descrizione dettagliata la trovate ai link http://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont e http://www.vajont.net/
Scrivo questo perché tra pochi giorni cade il 50° anniversario da quella immane tragedia, che provocò migliaia di morti ed una distruzione totale. Ieri il quotidiano la Repubblica ha pubblicato in merito una lettera del bravo Paolo Rumiz intitolata “Lo spettro della diga lassù sghignazza ancora”. Ecco la lettera, che mi permetto di pubblicare integralmente. 
In Italia gli anniversari luttuosi sono fatti per seppellire i problemi e non per risolverli: per attirare folle di curiosi, autorità presenzialiste e conniventi, e talvolta per trasformare le popolazioni offese in attori professionisti del loro stesso lutto. È un fatto che, nonostante l'evento planetario del '63 e i fiumi d'inchiostro versati su di esso, nulla è cambiato nella politica energetica italiana e in quella delle grandi opere. Stessa arroganza, stessa sicumera, stesso modo di snobbare il parere di chi sa, stessa sottovalutazione degli allarmi delle popolazioni locali, stesso trionfalismo cementizio sulla pelle dell'ambiente. Per questo si defilano da tempo in questo argomento uomini come Marco Paolini, autore della memorabile orazione civile sulla frana del '63, e Mauro Corona, l'elfo che porta nella penna e nelle mani la memoria di queste montagne, autori senza i quali forse il ricordo del Vajont sarebbe stato rimosso del tutto. Quella diga intatta che incombe sulla valle del Piave come uno scudo normanno minaccia ancora queste montagne. Pochi sanno che le acque del Vajont sono contabilizzate ancora nel bilancio energetico delle Alpi. La loro mancanza autorizza sciagurati prelievi alternativi, desertifica il Piave, fa del fiume sacro della patria il corso d'acqua più artificiale del mondo. Un deserto di ghiaia. Se il Vajont contasse ancora nella memoria nazionale, non si sarebbe consentito quel 'Vajont alla rovescia' subìto dai fiumi del Mugello, letteralmente risucchiati nel tunnel dell'alta velocità Bologna-Firenze. Se avesse cambiato qualcosa nella procedura delle grandi opere, non si imporrebbe in quel modo la Tav in Val di Susa. Se la sicurezza degli italiani contasse davvero qualcosa, il governo non si darebbe tanto da fare per costruire nel cuore di Trieste un terminal di gas liquido ritenuto pericoloso dall'intera comunità scientifica internazionale. Lo spetto è dunque lì. Trionfa, sghignazza, deride più di allora le popolazioni offese. Eco perché il silenzio è la sola risposta. Niente inni, niente messe, niente auto blu. Chi vuol ricordare davvero vada lassù di notte, da solo, con la nebbia, tra quelle ghiaie lunari, a sentire la voce dei morti, quando nei boschi non echeggia che il bramito dei cervi in amore, a genuflettersi davanti allo squarcio immane, alla ferita che i signori dell'energia, fino a un minuto prima della catastrofe, si ostinarono a non vedere”
Davvero bella questa lettera di Rumiz e, ahimè, quanta verità. Il Vajont nulla ha insegnato, visto quello che poi si è fatto nei successivi 50 anni nel resto del Paese... E l'uomo nulla ha capito della forza della natura. A tal proposito concludo con una frase che il grandissimo e compianto Giorgio Bocca scrisse su Il Giorno l'11 ottobre 1963: “In tempi atomici si potrebbe dire che questa è una sciagura pulita, che gli uomini non ci hanno messo le mani, tutto è stato fatto dalla natura, che non è buona, non è cattiva, ma indifferente. E ci vogliono queste sciagure per capirlo! Non uno di noi moscerini vivo se la natura si decidesse a muoverci guerra”. Ecco, questo l'uomo non l'ha ancora capito.

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