martedì 8 gennaio 2008

A proposito di raccolta differenziata...

Continuo il discorso affrontato nel mio articolo di sabato 05 gennaio 2008 a proposito dell’emergenza rifiuti in Campania. Con grande rammarico vedo che si sparge sempre più l’idea che i termovalorizzatori siano la soluzione a tutti i mali della Campania (e non solo): lo leggo e lo sento da più parti, dalle istituzioni locali (Jervolino in qualità di Sindaco di Napoli e sassolino in qualità di Presidente della Regione Campania) fino allo Stato (per ultimo il premio Romano Prodi ha ammesso che i termovalorizzatori o inceneritori o sistemi simili sono la soluzione unica al problema, seguito dal silenzio del ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio…), dai telegiornali (per ultimo il TG5 di ieri sera…) fino ai quotidiani nazionali (tra cui anche, ahimè, l’amata La Repubblica per bocca, tra gli altri, di Gian Antonio Stella e Corrado Augias). Mi stupisce la leggerezza con cui viene trattato l’argomento, perché di leggero non c’è proprio niente. Un “anonimo” ha risposto al mio precedente articolo dicendo che in fin dei conti i termovalorizzatori esistono anche a Brescia e Venezia e nessuno solleva polemiche: debbo dire che è proprio questo “non parlarne” che mi preoccupa. Vi dico anche perché. Un inceneritore è stato realizzato a circa 14 km da casa mia, nel comune di Cologna Veneta (VR): oltre che ad avere avuto una storia contorta fatta di autorizzazioni FALSE, ricorsi e processi (fino alla condanna definitiva di chi rilasciò quelle autorizzazioni false, tra cui un ex sindaco e un ex segretario comunale), l’impianto (che tra l’altro bruciava anche rifiuti riciclabili!) è ora fermo anche in seguito ai ricorsi fatti dal comitato locale in seguito alla scoperta di livelli di diossina molto elevati nell’aria (dannosissima per la nostra salute). Tra l’altro, non molto tempo fa, alcuni dirigenti dell’A.R.P.A.V. della Regione Veneto sono stati arrestati per aver “manomesso” (in modo da farli configurare buoni) i prelievi di aria e/o acqua della zona!!! Quindi mi balla non uno ma entrambi gli occhi di fronte alla purezza dell’aria che esce dai camini degli inceneritori di Brescia e Venezia: ma la diossina (e le altre polveri sottilissime…) non è visibile e questo va più che bene per la maggior parte della popolazione!!! Ricordate che “nulla si crea e nulla si distrugge”: i nostri cari odiati rifiuti, una volta bruciati, non scompaiono ma si trasformano in ceneri tossiche da smaltire e in fumi cancerogeni che vagano liberi nell’aria (e quando piove si diluiscono sui nostri terreni). DIREI PIU’ CHE BENE, NO? FORSE, SE LA DIOSSINA FOSSE COLORATA… (ah, definizione dello Zanichelli per diossina = denominazione comune a un gruppo di composti organici tossici usati per la produzione di erbicidi e battericidi, che comunemente indica il derivato policlorurato di tetraclorodibenzop-diossina, che è una delle sostanze più velenose che esistano!). Quindi, a rischio di diventare monotono, continuo a ribadire quanto affermato nel mio precedente articolo: premesso che si dovrebbero diminuire alla fonte gli imballaggi delle merci che compriamo (in modo da ridurre tutto il rifiuto inutile) e che questo è comunque un intervento la cui realizzazione necessita un cambio di mentalità radicale (che non vedo nel giro di pochi anni…), sono sempre dell’idea che la soluzione sta nel riciclo dei rifiuti (almeno della parte riciclabile) e quindi nella raccolta differenziata. Vi ricordo che, in base ai dati forniti da Federambiente per l’anno 2000, la composizione merceologica dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani) è la seguente:

- 28% rifiuto organico;

- 24% carta e cartone;

- 11% plastica;

- 7% vetro;

- 10% legno e tessili;

- 3% metalli;

- 17% rifiuto secco.

Quindi almeno l’83% dei rifiuti è assolutamente riciclabile, mentre solo il 17% non lo è: dico “almeno” perché in quel 17% sono compresi anche materiali ingombranti, sostanze velenose e farmaci che possono essere smaltiti separatamente in sedi appropriate, di conseguenza la porzione di rifiuto secco si riduce ulteriormente anche sotto il 15%!!! Terenzio Longobardi, nel suo articolo intitolato “Rifiuti solidi urbani. Oltre la sindrome di Nimby” pubblicato sabato 05 gennaio 2008 sul portale www.aspoitalia.net, indicando come “sindrome di Nimby: l’opposizione totale delle comunità locali alla realizzazione di qualsiasi impianto come gli inceneritori” (e come da loro torto…), indica nei termovalorizzatori (se fatti bene) la soluzione ideale per smaltire la parte secca dei RSU. Certo se fatti bene, ma qui mi ballano sempre entrambi gli occhi visto che le analisi dell’aria non sono così rassicuranti: esiste una normativa italiana (Legge n° 133/2005), di riferimento alla normativa europea, che stabilisce i limiti di emissione previsti per gli inceneritori, e per le diossine tale limite è di 0.1 ng/Nmc (l’autore dell’articolo dice che i moderni impianti riescono a stare sotto tale limite). Purtroppo sappiamo quanto gli interessi economici che stanno alla base degli inceneritori (produzione di energia elettrica e di calore) prevalgano sulla salute dei cittadini, e lo dimostra l’arresto dei dirigenti A.R.P.A.V. della Regione Veneto di cui vi dicevo ad inizio articolo. Recenti analisi hanno permesso di individuare che ogni tonnellata di rifiuto bruciato in un inceneritore producono 300 kg di ceneri solide altamente tossiche che hanno bisogno di discariche speciali, 30 kg di ceneri volatili altrettanto pericolose, 650 litri di acqua da depurare, 25 kg di gesso e una tonnellata di fumi e CO2!!!
Ma, scusatemi un po’, con tutte le maniere che ci sono per produrre energia da fonti rinnovabili, c’è proprio bisogno di ottenerla dall’incenerimento dei rifiuti? E il sole? Il vento? Le biomasse? Proprio dai rifiuti c’è la possibilità di captare il biogas prodotto dalla fermentazione dei rifiuti con conseguente recupero energetico. Invece niente… Concordo tuttavia col sig. Longobardi sul fatto che la raccolta differenziata deve essere intesa non come raccolta da effettuare (differenziata) nei cassonetti stradali, ma come raccolta effettuata col sistema “porta a porta” che consente di recuperare molti più rifiuti nonché una maggiore differenziazione dei rifiuti stessi grazie all’attenzione del singolo cittadino. La raccolta differenziata “porta a porta” è già una bella realtà in molti comuni del Nord Italia, ma siamo ancora a troppo poco: il decreto Ronchi stabilisce un obiettivo minimo di raccolta differenziata da conseguire a livello di ATO (Ambito Territoriale Ottimale) pari al 35%, mentre la Finanziaria per il 2007 aveva stabilito che la Regione (previa diffida) deve garantire una raccolta differenziata minima dei RSU del 40% entro il 31/12/2007, del 50% entro il 31/12/2009 e del 60% entro il 31/12/2011. Dati alla mano, oggi si producono in Italia 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani ed assimilati, dei quali solo poco più del 20% è riciclato (!), il 10% è incenerito e il 50% è smaltito in discarica. Mi vengono da fare due considerazioni:

1) se la raccolta differenziata è solo al 20% vuol dire che al 31/12/2007 la maggior parte delle Regioni non aveva raggiunto la soglia minima del 40% (se la matematica non è un’opinione…), quindi sono soggette a sanzione: saranno sanzionate? Ma…

2) se oggi solo il 10% dei rifiuti è incenerito, quanti termovalorizzatori si dovrebbero realizzare per smaltire 30 milioni di tonnellate di rifiuti non differenziati (o comunque una buona quota per liberare le discariche)? Credo tanti…, si potrebbe creare un mercato immobiliare dei termovalorizzatori!

Quindi, perché non effettuare la raccolta differenziata “porta a porta” ovunque, anche (e soprattutto) in quelle regioni (come la Campania) ove i rifiuti sono una vera e propria emergenza? Voi mi direte: e il rifiuto secco? Beh, dato che rappresenta la minima parte si possono benissimo utilizzare le attuali discariche, e dove sono esaurite, individuarne altre in posizioni lontane dai centri abitati (almeno 5 km come prevede la normativa nazionale) e al di fuori di aree di interesse ambientale: ci sono metodi molto avanzati che consentono la totale impermeabilizzazione dei siti (impedendo quindi ai liquami di penetrare nel terreno) e la raccolta/depurazione in loco del percolato tramite impianti in grado di abbattere drasticamente gli inquinanti. RIPETO: IN DISCARICA FINIREBBE SOLO LA MINIMA PARTE DEI RSU, APPENA IL 15%!
E’ ormai consolidata nel Nord Italia la tendenza di molti comuni a riunirsi in ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) in cui apposite aziende eseguono una perfetta raccolta dei rifiuti differenziati. Porto l’esempio del paesino in cui abito, Bevilacqua, posto nella bassa pianura veronese: vi si effettua ormai da anni la raccolta differenziata “porta a porta” che consente di separare (SENZA ALCUNA DIFFICOLTÀ) plastica, vetro, carta e cartone, umido, erba/scarti da giardino e rifiuto secco, mentre nei punti strategici del paese esistono cassonetti per la raccolta di pile, farmaci, prodotti tossici ed infiammabili; periodicamente il servizio raccoglie tessuti, vestiario e scarpe e addirittura (su richiesta all’apposito numero verde e GRATUITAMENTE) anche i rifiuti ingombranti come elettrodomestici, divani, arredamenti, ecc… Vi garantisco che il servizio funziona alla meraviglia: è eseguito dalla ditta “DE VIZIA TRANSFER S.p.A.” con sede legale a Torino e sede distaccata a Castelfranco Veneto (TV): tutto viene riciclato mentre solo il rifiuto secco finisce nelle discariche della zona (la più vicina si trova in località Torretta del Comune di Legnago -VR-, che proprio grazie alla raccolta differenziata della Provincia di Verona e delle province limitrofe ha risolto i suoi problemi di esaurimento). Come vedete, le soluzioni ci sarebbero, ma chi riuscirà a fermare il mare di soldi che ancora “gestisce” la raccolta dei rifiuti in molte parti d’Italia?

1 commento:

Anonimo ha detto...

hai ragione su tutto, bisogna dividere tutto, anche la frazione "secca" dei rifiuti. Mi capita spesso di mettere nel secco anche carta o plastica pulita: secondo me la prima va messa nella carta, la seconda col le bottiglie.